Venom “Welcome to hell” (1981)

Venom “Welcome to hell” (1981)

Condividi

Venom
“Welcome to hell”, 1981 (Neat Records)
Heavy metal

di Antonio Lo Giudice

 

C’erano una volta dischi in vinile che andavano ascoltati al contrario per far emergere inquietanti messaggi satanici, occulti burattinai come Charles Manson che manovravano artisti floreali e surf, chitarristi affascinati dalle teorie esoteriche di Allister Crowley, gruppi di freak inglesi che inneggiavano al maligno come tramite per la liberazione dai vincoli della vita borghese. C’era, insomma, gente che prendeva Satana terribilmente sul serio. Fortunatamente, nel 1981, giunsero in soccorso del povero Diavolo, soffocato da attenzioni così pretenziose e pseudo-intellettualoidi, tre debosciati di Newcastle appassionati di cose divertenti come la birra, la fica e i Motorhead, che, con il loro armamentario di croci rovesciate, catene e calici ricolmi di vergineo sangue, trasformarono finalmente il satanismo in un’eccitante baracconata, figlia del Rocky Horror Picture Show, quanto degli spettacoli di Alice Cooper e dei film della Hammer.
Chiunque, parlando dei Venom, inizia dall’aspetto scenografico e non voglio fare eccezione. Perché, alla fine, sono stati gli atteggiamenti grotteschi e caricaturali del trio ad attirare l’attenzione di migliaia di ragazzini che, come per i fan dei Velvet Underground, ma in numero anche maggiore, decisero di prendere in mano uno strumento per imitare i loro demoniaci beniamini. Ma, ovviamente, non è solo una questione di immagine, poiché è raro trovare nella storia (e non solo del metal, ma del rock tout court) un gruppo che si sia rivelato talmente influente e seminale. Ancora più incredibile, se si considera che i loro dischi degni di interesse sono solo tre, usciti tra il 1981 ed il 1984, e che, in fondo, sarebbe bastato solo il primo a cambiare per sempre la storia dell’heavy metal.
Per quanto, a posteriori, la fama di mostri sacri come Iron Maiden e Metallica sia irraggiungibile, l’importanza dei Venom è forse superiore a quella dei succitati pezzi da novanta. Sposando l’hard-rock fracassone dei Motorhead con l’irruenza punk (probabilmente più per necessità che per vero interesse, vista la tecnica strumentale molto approssimativa dei tre), furono i veri inventori del thrash metal, in netto anticipo sui gruppi della Bay Area: i già citati four horsemen gli devono praticamente tutto – e gli Slayer ancora di più. Oltre a tenere a battesimo il black metal, ne saranno i numi tutelari non solo iconograficamente, ma come massima ispirazione degli apripista Hellhammer/Celtic Frost, Bathory e Mayhem. Persino la prima incarnazione dei Death prenderà, non a caso, il nome dal chitarrista dei Nostri (Mantas). E questo senza tener conto dei tantissimi gruppi di culto (come i milanesi Bulldozer o i giapponesi Sabbat) partiti dal modello venomiano per poi assumere una fisionomia propria.
Niente male per tre ragazzotti che amavano innalzare peana alla vittoria dell’Antagonista, agli eccessi alcolici o psicotropi e al sesso non protetto, possibilmente con la propria insegnante.
Il tutto ha inizio con “Welcome To Hell”, disco tanto potente (in maniera inaudita per gli standard dell’epoca, ma anche oggi il suo impatto non lascia indifferenti) quanto grezzo. E maledettamente divertente!
L’assalto dell’iniziale “Sons Of Satan” è di quello che lascia spettinati: il modello è evidentemente il gruppo di Lemmy, ma l’incedere è da bombardamento a tappeto. Mai si era sentito qualcosa di così sgraziato e caotico e la voce da “topo in gola” di Cronos commenta adeguatamente il viaggio nel tunnel degli orrori (non certo quelli reali – siamo più dalle parti di un Captain Spaulding ante letteram) in cui ci instraderà tutto il disco. La title track vanta un riff tanto semplice quanto epico ed efficace, nella miglior tradizione della New Wave Of British Heavy Metal, movimento all’interno del quale i Venom svolgevano il ruolo di schegge impazzite. Ma i veri capolavori dell’album sono i pezzi che inventano il thrash: “Live Like An Angel”, il cardiopalma di “Angel Dust” e, soprattutto, l’immensa “Witchin’ Hour”, una di quelle meraviglie tutte sangue, violenza e ipervelocità che possono spingere un qualunque ragazzino ad amare il metal (e, infatti, si tratta di un brano oggetto di innumerevoli cover, in primo luogo quelle di Slayer e Mayhem).
Gli unici rallentamenti sono concessi dalla breve strumentale “Mayhem With Mercy” (ma va?!) e dalla tribale “In League With Satan” (ispirata a “Take On The World” e “United” dei Judas Priest). Chiude il devastante inno alla carnazza di “Red Light Fever”, lunga e malata come una “Sister Ray” (cito Tommaso Franci) con la pornografia al posto dell’eroina.
A molti doveva essere parso uno scherzo: se la New Wave Of British Heavy Metal era nata come reazione degli amanti del hard-rock al pressappochismo punk (anche se dal punk Iron Maiden, Saxon & C. non potevano più prescindere), i Venom buttano tutto alle ortiche, macellando ogni forma di virtuosismo sul bancone dell’immediatezza. Squadrati brani metal suonati con piglio punk: fu questa la ricetta semplice e geniale che ha fatto, musicalmente parlando, la fortuna dei tre inglesi.
L’anno successivo l’opus II “Black Metal” ripeterà la formula con un pizzico di mestiere in più e di sporcizia in meno – si tratta di un altro capolavoro, ma il fascino da film di mezzanotte di “Welcome To Hell” lo fa ancora preferire.
A questi maestri del “do it yourself”, tanto nella musica quanto nell’immagine, il peggior torto che si poteva fare era prendere sul serio il secondo aspetto e sottovalutare il primo- cosa che è regolarmente successa: se da un lato, infatti, anche negli stessi ambienti metallari, si è per anni stigmatizzata eccessivamente la presunta “cialtronaggine” della loro proposta (in nome di una diffusa devozione allo sterile virtuosismo), dall’altro troppi saranno i loro fan che, per imbecillità dovuta alla giovane età (i blackster scandinavi) o congenita (Glenn Benton), crederanno sul serio alla possibilità di evocare il Maligno suonando heavy metal. Fosse successo ai Venom, al massimo l’avrebbero portato a fare bisboccia in qualche pub.

 

 

https://www.ondarock.it/pietremiliari/venom_welcometohell.htm

Condividi
Nato a Messina, ma cresciuto e pasciuto a Bassano del Grappa, Antonio Lo Giudice è abituato a definirsi in negativo. Obiettivamente, non è veneto, ma è sicuramente più veneto che siciliano. Alla fine, gli basta evitare di parlare un qualsiasi dialetto per mantenere il suo sintomatico mistero. Collaboratore discontinuo del webzine ondarock.it, scrive anche per Il Giornale di Vicenza, ma, più che altro, lo fa per rimediare accrediti. Le bollette vengono pagate con un lavoro ben più umiliante. Nel 2016 ha pubblicato per i tipi della crac edizioni il suo primo e unico libro (è pigro): "Da Satana all'Iperuranio: 35 anni di Black Metal in 101 dischi". Legge fumetti e tifa Milan.