Il giardino magico

Il giardino magico

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Le piccole storie di Maria Vittoria Grassi

C’era una volta, in una piccola città un giardino speciale. A vederlo non sembrava per niente diverso da tutti gli altri giardini, semmai era un po’ più vecchiotto nell’aspetto: grandi alberi dai trami fitti e intricati, angoli ombrosi, aiuole ovali con l’erba non sempre ben curata, una fontanella vecchio stile con un rubinetto un po’ rugginoso e tante siepi che nei vialetti proteggevano le panchine di legno dipinte di verde. Insomma: allora perché era magico? Perché era uno dei pochi giardini in cui ancora vivevano tranquilli e spensierati elfi, folletti e gnomi. Da secoli e secoli abitavano lì, nascosti tra le foglie degli alberi, dietro le siepi o nei rifugi più impensati e si divertivano moltissimo. Ogni tanto sbucavano fuori, correvano, saltavano e ballavano, nei loro piccoli vestiti colorati e con e loro gambette corte, giocando allegramente con i bambini del parco. Sì perché solo i bambini più piccoli potevano vederli, quelli che ancora non sapevano parlare bene e che sgambettavano, a volte, ancora con poco equilibrio, sotto gli occhi di mamme, papà, nonni o tate, che credevano di controllarli e, in realtà, vedevano solo una parte dei giochi dei loro bambini. Per questo tutti i più piccoli adoravano quel giardino: mai come in quel luogo ridevano e si divertivano, rincorrendo uno gnomo col berretto verde o ballando con qualche elfo dietro una siepe. Poi, quando i bambini crescevano, non vedevano più i loro vecchi amici magici, se ne dimenticavano e il giardino diventava solo un posto simpatico in cui trovare gli amici e, magari, combinare qualche guaio. Un giorno al sindaco di quella città venne in mente di rinnovare un po’ quel giardino, dove anche lui aveva passato delle belle ore da piccolo. Chiamò un architetto importante, che aveva sulla porta una targhetta con scritto “Dott. Prof. Archimede, Architetto da Giardini” e gli diede l’incarico. Archimede non perse tempo: visitò subito il posto, disse: “Tutto da rifare!” e cominciò a dare ordini. Per prima cosa ordinò agli operai di sostituire le panchine: “basta vecchi sedili di legno: solo panchine in pietra e senza spalliera!  Chi h mal di schiena si sieda a casa sua!”. Gli operai lo guardarono un po’ perplessi ma eseguirono. Una settimana dopo Archimede tornò al giardino e vi ritrovò tutte le vecchie panchine di legno che c’erano sempre state, però dipinte di rosso. Furibondo, corse dal Sindaco: “Gli operai dicono che appena sostituite le panchine sono tornate quelle dii prima… Mi hanno preso per scemo?”. “ma no – disse i Sindaco comprensivo – sarà stato un errore: tutto sommato c’è stato un cambiamento, accontentiamoci delle panchine rosse!”. Archimede, seccatissimo, dovette accontentarsi e immediatamente, per rifarsi della delusione, ordinò di tagliare tutte le siepi in forma di cubo: “Niente più ramoscelli disordinati e siepi di altezza diversa: una fila di dadi verdi tutti uguali!”. Gli operai, sempre più perplessi, tagliarono e misurarono alla perfezione. Ma il giorno dopo le siepi erano tornate disordinate come prima: a punta, rotonde, più o meno alte.. Archimede, furibondo, tornò dal Sindaco:” Licenziali tutti!.. O sono incapaci o mi prendono in giro!”. Il Sindaco sorrise, paziente: “Te la prendi troppo, Archimede, forse sei un po’ esaurito: quello che mi racconti non ha senso: per cambiare le cose ci vuole tempo!”. Archimede se ne andò masticando parolacce e pensando a un nuovo progetto. “Questa volta non mi fregano, ci starò attento io personalmente!”. E ordinò agli operai, che ormai lo guardavano decisamente storto, di sostituire la fontanella: “Via quel coso arrugginito.. Voglio una bella fontana a forma di cuore, con 20 spruzzi d’acqua e delle luci intermittenti!”. Questa volta controllò di persona i lavori, anzi, una volta finiti, tutto soddisfatto si distese su una panchina e dormì di fronte alla nuova fontana tutta la notte, per sorvegliarla meglio. Al mattino, bello riposato, si stiracchiò e si accinse a guardare la sua nuova opera: di fronte a lui gorgogliava felice la solita fontanella arrugginita, che sembrava invitarlo a bere un bel sorso. Il Sindaco, che questa volta era stato invitato all’inaugurazione della fontana, trovò Archimede accasciato sulla panchina, incredulo e sbalordito. “Non è il caso di prendersela troppo – gli disse il Sindaco sempre sorridente – in fondo questa fontanella mi è sempre piaciuta così fin da bambino…” E, quasi tornando indietro nel tempo, il Sindaco si chinò e bevve soddisfatto un bel sorso, spuzzandosi acqua dappertutto.

Da dietro la siepe più vicina decine di occhietti piccoli e vivaci lo guardavano sorridenti e soddisfatti. Forse i folletti nascosti si ricordavano di un piccolo sindaco che tanti anni prima giocava con loro …

Un caro saluto e alla prossima da Vittoria!

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