Schiavi africani alla corte di Isabella d’Este
Pareri Rudi-mentali
Incuriosisce non poco scoprire il grande interesse che alcune corti rinascimentali riponevano sugli schiavi neri. E il caso mantovano, in special modo nel periodo di Isabella d’Este, getta delle luci inequivocabili su aspetti determinanti della questione.
Dai documenti d’archivio si evince che Isabella ci teneva in modo particolare ad avere nel suo entourage dei servetti neri, i quali dovevano essere preferibilmente bimbetti o ragazzini. Pare assodato che ce ne fossero sempre sei o sette intorno a lei, alcuni di origine nordafricana e altri di origine subsahariana.
Questi servetti o, meglio, questi schiavetti, a Mantova non erano mai definiti “negri”, come succedeva in altre città. I documenti mantovani usano sempre il termine di “moro”, “moretto” o “moretta” per indicare questi giovanissimi africani, i quali arrivavano in Europa attraverso due canali principali. Uno li vedeva imbarcare nelle coste dell’Africa del nord e approdare a Venezia; nell’altro venivano prelevati dalle coste atlantiche dell’Africa occidentale e sbarcati in Portogallo. Soprattutto in queste due città portuali avvenivano le vendite dei “mori”.
Per Isabella d’Este l’ideale estetico dei “moretti” da avere a corte è così concepito: devono essere bimbi e il loro colorito deve essere il più nero possibile. Più nera è la pelle, meglio è. Al suo agente che sta a Venezia Isabella chiede più volte che le procuri una “moretta” «più negra che possibile fosse». E in questo modo si esprime in una lettera la marchesa dopo aver ricevuto una nuova “moretta” a corte: «de negreza et de fateze ne satisfa più che non haveressimo saputo desiderare».
Qualcuno ha sostenuto che l’interesse di Isabella verso dei servetti e delle servette africane sia stato ereditato dalla sua famiglia natale. La madre era originaria di Aragona, che in quel periodo era una delle roccaforti europee dello schiavismo negro. Ma, in realtà, è ormai noto che l’interesse verso una servitù nera era in quel periodo una moda estesa in gran parte delle corti europee.
L’unica peculiarità che sembra solo di Isabella d’Este è la sua fissazione sul fatto che questi servetti neri, oltre che molto giovani e sani, dovevano essere estremamente neri.
Nel primo documento noto in cui si parla di una “moretta” di Isabella, la marchesa aveva solo diciassette anni e si era appena sposata. In seguito ne acquisterà diversi, scegliendoli soprattutto tra quelli ancora in fasce. La marchesa era convinta che l’ideale fosse comperarli di un’età compresa tra gli otto mesi e i due anni. In ogni caso non si disdegnavano “moretti” e “morette” di sedici o diciassette anni se erano ben fatti.
Gli schiavi giovani, belli e fertili venivano anche fatti accoppiare insieme, come testimonia una lettera del 1522 in cui si legge di una giovanissima africana appena arrivata: «Po haver da sedese in desette anni, è de bellissima persona, ben fatta quanto è possibile, negra. Ha bello volto, salvo che ha el labbro desotto della bocca grosso. Se vostra Signoria ne volesse far raza, penso per la sorte sua farrian bellissimi figlioli». E qui, con il termine “far razza” si intende farla figliare.
Ma quanto costava l’acquisto di un “moretto” ai tempi di Isabella d’Este? In media si vendevano tra i 25 e i 30 ducati ciascuno, a seconda dell’età e della “negrezza”. Ben poco, o forse nulla, se si pensa che in quegli anni si spendevano circa 100 ducati per commissionare un quadretto a Mantegna o a Bellini, farsi fare una carriola nuova costava circa 10 ducati e lo stipendio medio di un ufficiale di corte era di 15 ducati al mese.
[rudy favaro]