Il paravento giapponese

Il paravento giapponese

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L’ambasciata dei principi giapponesi a Mantova

Pareri Rudi-mentali

Nell’estate del 1585, destando non poco stupore e curiosità, arrivarono a Mantova degli ospiti tanto illustri quanto inconsueti per quell’epoca: un’ambasceria di principi giapponesi.
La delegazione, accompagnata da un missionario gesuita italiano, partì dal Giappone per giungere dopo tre anni a Roma. Probabilmente era la prima vera spedizione giapponese ufficiale in Europa. Lo scopo del loro viaggio era quello di portare in dono al Papa un prezioso paravento che raffigurava il castello di Azuki, da dove provenivano, presso Kyoto.
L’immagine raffigurata in questo paravento, realizzata dal più importante pittore giapponese di quell’epoca (Kanō Eitoku), era significativa: in quegli anni il locale signore feudale, convertito al cristianesimo, fece infatti costruire ad Azuki un imponente fortezza dalla quale avviò, aiutato dai primi missionari cattolici, una politica di riunificazione del Giappone.
Nel viaggio di ritorno da Roma la delegazione si fermò in alcune città italiane, tra le quali Firenze, Bologna, Venezia e Mantova. E le notizie di come si svolsero gli avvenimenti al passaggio in quest’ultima città, dove i principi giapponesi soggiornarono festeggiati e coccolati per cinque giorni, si possono ragionevolmente ricostruire da una serie di lettere conservate all’Archivio di Stato.
L’accoglienza fu grandiosa. Ventidue carrozze tirate da sei cavalli, tutte piene di nobili e scortate da archibugieri e trombettieri a cavallo, andarono incontro ai giapponesi. All’ingresso in Mantova, gli ospiti furono salutati con scariche di artiglieria e una gran folla accorse, curiosa di vedere uomini tanto rari e mai capitati sino ad allora da queste parti. L’ambasceria fu condotta a Palazzo Ducale e alloggiata in sontuose stanze con baldacchini di velluto cremisi e di broccato d’oro e d’argento.
La mattina seguente, che era domenica, gli ospiti giapponesi parteciparono alla messa cantata in Santa Barbara e poi, fatto curioso e sintomatico, al battesimo di un ebreo. Visitarono quindi la città e Palazzo Te. Verso sera ritornarono via barca verso al Castello.
A questo punto il canovaccio prevedeva lo spettacolo delle luci nell’acqua, cavallo di battaglia degli ingegneri mantovani. Due falò furono accesi sopra a delle barche in mezzo al lago inferiore, contornati da fuochi d’artificio e spari di artiglieria. Nel frattempo ponte e castello, tutti ornati di lumi, facevano bella mostra di sé.
Negli altri giorni di sosta mantovana i principi giapponesi videro la reliquia del Sangue di Cristo, le bellezze della sagrestia di Santa Barbara e il corpo di Sant’Anselmo. Visitarono il santuario delle Grazie, la Certosa di Castelnuovo e il monastero di San Benedetto di Polirone. Furono coinvolti in una battuta di caccia alle lepri e al cinghiale. Assistettero a raffinati spettacoli musicali. Insomma, i mantovani si fecero in quattro per organizzare e celebrare in modo speciale la venuta in città di questi illustri ed esotici visitatori.
L’avvenimento, del resto, fu davvero epocale. Basti pensare che l’isolamento del Giappone e della sua cultura dal resto del mondo proseguì, imperterrito, fono alla fine dell’Ottocento.
[rudy favaro]

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