Di quando si andava al monte a cercare la pietà
Pareri Rudi-mentali
Un diffuso e antico adagio ricorda che chi vuol patire le pene dell’Inferno dovrebbe andare a Feltre d’inverno. Tuttavia, agli ebrei mantovani della seconda metà del Quattrocento, bastò la venuta di un feltrino in città per toccare con mano le fiamme di quel metafisico luogo cristiano.
Bernardino da Feltre, beato per Santa Romana Chiesa, era un frate predicatore dell’ordine dei francescani. Era noto, soprattutto, per i suoi velenosi sermoni di piazza contro gli ebrei e la loro pratica del prestito di denaro a usura.
Le sue prediche infuocate, che risuonarono nelle piazze di diverse città, furono molto ascoltate ed ebbero conseguenze celebri, come per esempio la cacciata degli ebrei da Treviso, Vicenza, Bergamo e altri luoghi dell’Italia settentrionale. Ma, parallelamente ai suoi famosi anatemi contro chi viveva in relazione e buoni rapporti con gli ebrei strozzini, il suo operato si concretizzò nella concezione e nella fondazione dei cosiddetti Monti di Pietà, che dovevano andare a ostacolare l’attività economica degli Ebrei.
Il termine “Monte” era un tempo usato per indicare l’ammontare dei debiti. Ne consegue che il debitore era colui che “andava al Monte”.
Tra le molte città ad essere coinvolte in questa operazione “pietosa” ci fu anche Mantova. Il Monte di Pietà di Mantova fu fondato, sotto l’auspicio del marchese Francesco II Gonzaga, nel 1484. L’Istituto trovò collocazione nelle case poste all’angolo tra le attuali via Giustiziati e via della Dottrina Cristiana, dietro il Palazzo della Ragione, sul bordo del ghetto ebraico. La sua funzione era quella di prestare denaro a modico interesse su pegno di beni mobili. Lo scopo era il recare sollievo ai poveri, sottraendoli all’usura e agli alti tassi praticati dai banchi ebrei.
Inizialmente il Monte di Pietà mantovano applicò il tasso proposto da Bernardino da Feltre, del 10%. Ma ben presto vi furono feroci proteste e il tasso venne dimezzato.
La vita del Monte di Pietà di Mantova, non particolarmente agiata per endemica scarsità di fondi e per la concorrenza degli ebrei, si trascinò stancamente, pur con la protezione dei Gonzaga, fino al 1630, quando, in occasione del sacco della città da parte dei lanzichenecchi, esso fu depredato di pegni, denari, registri e messo a fuoco. Da quel momento non si riebbe più. Furono fatti vari tentativi per rimetterlo in piedi ma, alla fine, si dovette dichiarare l’insolvenza del Monte, lasciando costernati non pochi depositanti, impossibilitati a recuperare i propri capitali.
Più tardi, sotto gli austriaci, il Monte di Pietà venne riaperto e, con logiche meno caritatevoli ma più bancarie e di mercato, continuò la sua attività fino al 1947.
Tornando a Bernardino da Feltre e alla sua lotta contro gli ebrei e contro lo strozzinaggio, è da ricordare che prima di arrivare a Mantova egli si era fatto ben notare e conoscere nel Trentino. Nell’estate del 1475 il frate fu, infatti, promotore del famoso Processo di Trento, dal quale derivò il massacro fra le torture di tutta la comunità ebraica di Trento e l’espulsione degli ebrei da tutte le altre città del Trentino.
Chissà, quindi, se ha a che vedere anche con questo episodio la versione integrale del detto popolare che ho citato all’inizio: chi vuol provare le pene dell’Inferno vada a Trento d’estate e a Feltre d’inverno.
[rudy favaro]