Proposta per una gita fuoriporta, inseguendo Teofilo Folengo
Pareri Rudi-mentali
Primavera, tempo di gite fuoriporta, meteo permettendo. Vi propongo di andare a visitare il monastero di Santa Croce a Campese, paesino situato cinque chilometri a nord di Bassano del Grappa, all’imbocco della Valsugana. Un luogo che, nel corso dei secoli, ha avuto fitti legami con il mantovano.
Nel 1127 il monastero di Campese passò sotto la giurisdizione dell’abbazia di San Benedetto di Polirone, divenendo un centro di irradiazione benedettina per l’intera Valle del Brenta.
L’acquisizione da parte di Polirone di questo piccolo monastero veneto fu un evento di grande importanza. Il luogo ove sorge il cenobio di Santa Croce di Campese è un punto chiave per il controllo dell’accesso alla Valsugana, uno dei principali itinerari che, attraversando le Alpi, collegano la pianura veneta con il nord. In altre parole, storicizzando la questione, un itinerario che collegava Venezia, porta dell’Oriente, con i territori imperiali germanici. Quindi, un sito di strategica importanza per il controllo del flusso di merci e persone nel territorio, sia dal punto di vista politico sia da quello economico, visto che il passaggio da un luogo come questo voleva dire anzitutto il pagamento di un dazio.
A capo del monastero stava un priore. E, vista l’importanza di Campese, era usanza di Polirone affidare questa carica a uomini di fiducia. Pertanto, nel corso dei secoli, i priori di Campese furono perlopiù mantovani.
Allo stesso tempo, però, Campese era anche un luogo isolato, lontano dai grandi centri abitati del tempo. Un luogo ideale, dunque, anche per confinare personaggi scomodi. Fu così che, a più riprese, vennero lì inviati monaci benedettini sospettati di idee ereticali, alcuni dei quali furono proprio dei mantovani, come Benedetto Fontanini e Antonio da Bozzolo. Ma il più celebre mantovano qui confinato col pretesto di farlo priore fu, senza dubbio, il poeta Teofilo Folengo.
Nato a Mantova nel 1491, noto anche con lo pseudonimo di Merlin Cocai, Teofilo Folengo è il più famoso esponente della letteratura latina maccheronica. Nonostante venisse spesso censurato per l’uso di linguaggio e idee volgari (e, forse, per questo spedito in Valsugana), egli conquistò una vasta popolarità e in pochi anni i suoi libri vennero ristampati in numerose edizioni.
Il Folengo concluse la sua vita proprio nel monastero di Campese, non molto tempo dopo esserne stato nominato priore. E in quella chiesa venne anche tumulato.
Il suo sepolcro era un tempo famoso per le scritte lasciate dai visitatori. Sulle pareti adiacenti alla sua tomba, infatti, non vi erano solo iscrizioni incise in lapidi marmoree. Nel corso dei decenni e dei secoli si era consolidata l’usanza, da parte di pellegrini e devoti che si recavano a Campese per rendere omaggio al poeta maccheronico, di lasciare un ricordo scritto o graffito sui muri.
Dalle cronache redatte da viaggiatori che furono in questo luogo, sappiamo che le scritte erano in varie lingue. Sicuramente, oltre a quelle in volgare, ce n’erano molte in latino, alcune in greco, altre in spagnolo e, addirittura, talune in ebraico.
Tutte queste scritte sui muri inneggiavano il poeta, in modo raffinato ed erudito. Giusto per intenderci, non campeggiavano messaggi del tipo “Giuseppe ama Anita”. Ma solo versi che celebravano Teofilo e la sua opera poetica.
Ne cito alcune: “Ospite ferma il passo: rendi omaggio allo spirito di Merlino qui custodito”; “Sulle tue sacre labbra fluisce tutta le letizia del Sole”; “Ti ha insegnato la musa figlia di Giove [Calliope, musa della poesia], o certamente Apollo”; “Mantova mi ha generato, i Veneti mi rapirono, mi tiene ora Campese: ho cantato le cose gioiose, le sacre e quelle salaci”.
In ogni caso, se in uno dei prossimi fine settimana avrete la curiosità di andare a visitare questo luogo, lasciate pure a casa pennarelli e bombolette spray. Non è più concesso scrivere sul muro di quella chiesa. I grafomani, comunque, troveranno sul posto un registro dei visitatori, nel quale potranno scarabocchiare ciò che meglio credono, gridare l’amore verso qualcuno o dedicare un verso al mantovano poeta maccheronico.
[rudy favaro]