Le antiche rivalità tra le sponde dell’Ancona
Pareri Rudi-mentali
Dove oggi sorge Piazza Virgiliana esisteva un tempo un’ampia insenatura del Mincio. Era l’antico porto principale di Mantova e veniva chiamato l’Ancona di Sant’Agnese. Venne interrata nel 1797.
Ancona è un termine che significa gomito, curvatura, rientranza. L’Ancona era il porto grande di Mantova, contrapposto all’Anconetta, il porto piccolo. Entrambi erano luoghi di sbarco che puntavano al cuore della città. Lo erano ieri e lo sono ancor oggi, per chi cerca un parcheggio gratuito il più vicino possibile a quel cuore.
Su una sponda di questa Ancona d’acqua risiedevano le famiglie bene, con le loro abitazioni intorno alla chiesa di San Pietro. Dall’altra stava il popoloso quartiere degli artigiani, intorno alla chiesa di San Leonardo.
Nel tempo si erano venute originando delle accese rivalità tra queste fazioni. E capitava di frequente che esponenti delle due parti venissero alle mani, talvolta anche in modo violento e sanguinoso.
Pare sia stato proprio questo il motivo che portò Luigi Gonzaga, primo capitano del popolo di Mantova, a tirar su un argine che, tagliando di traverso tutta l’Ancona, collegasse San Pietro con San Leonardo, abbreviando così la strada tra i due quartieri. E, in effetti, la costruzione di quest’opera ottenne il risultato voluto: i due antichi avversari, avvicinandosi, si intesero meglio negli interessi e si pacificarono, tanto che da allora in poi non vengono registrati spiacevoli e sanguinosi conflitti.
Questo lungo cordone di terra, che rompeva la U del porto andando dall’attuale via Cairoli al dirimpettaio vicolo Poggio, era nominato l’argine di Sant’Agnese. Ma per il popolo divenne la “Gattamarza”.
Al centro dell’argine, come ammonimento per chi ancora covava antico odio campanilistico, venne innalzata una chiesetta. Era il 1355. I documenti citano questa costruzione come Santa Maria dell’Ancona sull’Argine. Per il popolo divenne semplicemente la Madonnetta dell’Ancona.
Benché l’antica rivalità tra San Pietro e San Leonardo fosse stata spenta dalla costruzione della Gattamarza con la sua chiesetta, rimase però ben viva nella tradizione dei giochi dei fanciulli.
Si racconta che nei giorni festivi, nelle ore dello svago, i ragazzi dei due schieramenti si organizzavano in gruppi e battagliavano per gioco tra di loro. E sebbene queste mischie avessero innocente inizio, non sempre avevano innocente fine.
Il campo di confronto di queste zuffe era proprio l’argine. E, col tempo, si venne a fissare la consuetudine che il vincitore si dichiarasse “padrone” della chiesetta dell’Ancona. Un titolo domenicale ambito, che giustificava l’entusiasmo di questi ragazzetti a organizzarsi ordinatamente, simulare avvisaglie, ricognizioni, scaramucce parziali, farsi prigionieri e ogni altra finzione di guerra. Fino a che, a determinati segnali, il tafferuglio si faceva generale, venendo al corpo a corpo dei partecipanti, fino a che una delle due parti non fosse stata sbaragliata e vinta.
A quel punto, con strimpellare di strumenti e inscenando la simulazione di una vera vittoria, i trionfatori portavano la loro bandiera alla chiesetta, prendendone simbolicamente il possesso.
Ma questo gioco di ragazzi dagli alti livelli di testosterone non ebbe lunga vita. Qualche anno appena. Poi, con grande scalpore per tutti, ci scappò il morto. Per impedire ulteriori sciagure il Gonzaga promulgò allora una severa legge che proibiva questi fanciulleschi combattimenti, chiamando i padri a essere responsabili per i figli, con pene gravissime per chi trasgrediva. E la Madonna dell’Ancona non vide più quelle battaglie degne dei ragazzi della via Pal.
[rudy favaro]