Giorgi e Gorni, artisti della bassa terremotata
Pareri Rudi-mentali
Avrei voluto fare il turista nella bassa, per vedere le opere di Giorgi e Gorni, due artisti dello scorso secolo emersi da quelle terre. Ma, ahimè, i tre principali luoghi che custodiscono le loro opere sono inaccessibili. A causa degli eventi sismici di maggio, il Museo Civico Polironiano di San Benedetto Po è chiuso. Come pure, per gli stessi terremoti, inaccessibili sono la Pinacoteca Comunale di Quistello e il Museo diffuso Giuseppe Gorni di Nuvolato.
Indagando nelle vite di questi due artisti ho trovato, con sorpresa e sgomento, che entrambi , contadini di estrazione e di formazione, prendono in mano la matita per disegnare in seguito a eventi di sofferenza, di crolli e di macerie. Un’analogia con i recenti eventi della loro terra che non lascia certo indifferenti.
Le prime opere di Antonio Ruggero Giorgi, nato a Reggiolo nel 1887, appartengono al 1908. In quell’anno fu chiamato a svolgere il servizio militare a Messina, sconvolta e distrutta dal celebre terremoto, dove si prodigò per aiutare i sopravvissuti.
Continuando in seguito la sua produzione artistica, il Giorgi pose sempre attenzione verso soggetti di carattere sociale, rappresentati con uno stile incisivo, fatto di segni duri e taglienti. Le sue creazioni sono incentrate sulla figura umana, spesso emarginata, trasposta con la sensibilità di un attento e partecipe osservatore.
Giuseppe Giorgi fu apprezzato da Marinetti, ma non accettò mai l’invito ad aderire al futurismo. Chiamato alle armi nel primo conflitto mondiale, questa drammatica esperienza lo portò a produrre un drammatico diario pittorico, testimonianza e denuncia degli orrori della guerra.
Nel 1945 fondò, a San Benedetto Po, una scuola artigianale e di grafica, dove insegnò per alcuni anni. La maggior parte della sua opera è conservata Museo Civico Polironiano di San Benedetto Po, mentre il Museo Civico di Reggiolo e il Museo di Palazzo Te a Mantova hanno accolto altre importanti donazioni dell’artista.
Giuseppe Gorni, invece, nacque a Santa Lucia di Quistello nel 1894. Anche lui cominciò a disegnare in concomitanza con un evento tragico: un periodo di internamento nel corso della prima guerra mondiale. In quei mesi di prigionia, nella lontananza, nella solitudine e nel dolore si dedicò alla pittura e alla scultura.
Nei campi di concentramento conobbe anche il grande pittore Massimo Campigli, anch’egli internato, il quale fu di fatto il suo primo estimatore. Alla fine della guerra il Gorni riprese gli studi, da solo, e si diplomò nel 1922 all’Accademia di belle arti di Bologna, come privatista.
Ritornato a Quistello, vi fondò una scuola tecnica di cui fu all’inizio vicedirettore e insegnante di disegno; ma ne venne presto allontanato per motivi politici all’ascesa del fascismo.
Dopo essersi rifugiato per qualche tempo a Parigi, l’incomprensione generata dalle sue opere e la sua avversione al fascismo lo spinsero a rinchiudersi nel silenzio della propria terra di Quistello, per dedicarsi allo studio dal vero, realizzando numerosissimi disegni e incisioni.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale fu richiamato alle armi. Il Gorni fu nel fronte francese, in quello iugoslavo e pure in quello russo. E, ancora una volta, la terribile esperienza della guerra lo indusse a riprendere in mano con nuovi occhi la matita e a non desistere.
[rudy favaro]