L’emblema di Lucrezia Gonzaga da Gazzuolo (1524-1576)
Pareri Rudi-mentali (del 27/6/09)
L’emblema, detto anche impresa, è un genere letterario costituito dall’unione di motti e di figure simboliche. L’uso risale all’antichità classica, ma si affermò soprattutto nel Cinquecento. In quel periodo si teorizzò una giusta proporzione fra il motto scritto e la figura. Ne uscì una forma artistica moderna, congeniale alla rappresentazione di metafore e allegorie. Fu pertanto abbondantemente usato nel Cinque e Seicento, soprattutto per abbellire i frontespizi dei libri stampati.
Proprio di uno di questi ‘emblemi’ vi voglio raccontare in questo mio intervento: quello di Lucrezia Gonzaga da Gazzuolo, una delle presenze femminili più significative della letteratura italiana del Cinquecento.
Lucrezia appartiene ad un ramo cadetto dei Gonzaga di Mantova e vive tra il 1524 e il 1576. Già dall’infanzia, nella piccola corte di Gazzuolo dov’era nata, ella dimostra dimestichezza con la cultura letteraria, musicale e pittorica. A Gazzuolo del resto erano di casa letterati e uomini d’ingegno come Pico della Mirandola, Baldassar Castiglione e Matteo Bandello.
Sarà quest’ultimo infatti che seguirà l’educazione di Lucrezia, rimanendo affascinato dalla sua bellezza adolescenziale e dalle sue attitudini alla cultura.
Lucrezia si sposerà però con un tal Manfrone, capitano di ventura e proprietario del palazzo-castello di Fratta nel Polesine che Lucrezia farà diventare una piccola corte raffinata, alla quale converranno scrittori, musicisti e poeti illustri, creando un sorprendente crocevia di cultura, di civiltà e di arte.
Vivendo in tale ambiente, Lucrezia Gonzaga non poteva certo scegliere per se stessa un emblema banale: optò per la raffigurazione di una cerva, o di una cerbiatta, di fronte a un alloro, con impresso il motto “ nessun mi tocchi ”.
Il cervo, come pure il cerbiatto, è un animale famoso per la sua agilità e l’acutezza dei suoi sensi che ne rendono difficile la cattura. Ma è altresì evidente la grazia del suo aspetto. Soprattutto nell’immagine della cerbiatta, usata già nell’Antico Testamento per riferirsi alla giovane donna amata, la “graziosa cerbiatta” (Pr 5,19).
Vi sono anche altre belle immagini della Bibbia che hanno per protagonista questo mite animale, abitante delle selve montane, dalle forme slanciate ed eleganti, agile nei salti e veloce nella corsa, noto per la sua timidezza, amante della solitudine, e perciò soggetto a particolare predisposizione spirituale.
Senza dubbio, comunque, il simbolismo della cerva trova il suo fondamento principale nell’incipit di uno dei Salmi più noti: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te» (41,2).
Il motto “ nessun mi tocchi ”, quindi, è ben proporzionato all’immagine simbolica della cerva, o della cerbiatta. Solitaria e immersa nei suoi pensieri, Lucrezia Gonzaga aveva probabilmente un animo umile e gentile benché determinato, e attraverso i suoi scritti cercava uno scopo e una dimensione.
Nondimeno però Lucrezia dovette esser stata molto bella e sensuale. In effetti, leggendone la descrizione in versi che fa il suo innamorato Matteo Bandello – il quale alla cronaca risultava frate domenicano –, Lucrezia nella sua giovinezza era paragonata a un “focile”, cioè a un grilletto d’arma da fuoco (Come Lucrezia in quell’età novella / era d’amor il tacito focile); la ragazzina accendeva progressivamente l’anima e il corpo a chi la guardava, bruciando e raggelando allo stesso tempo (ch’accende chi la mira a poco a poco, / ed arde il ghiaccio e spesso agghiaccia il fuoco).
Badate allora se per strada incontrate una cerbiatta: non la toccate!
[r.favaro]
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Immagini: Impresa di Lucrezia Gonzaga col motto “ nessun mi tocchi ”.
(G.B. Pittoni e L. Dolce, Imprese II, 1566, foglio 51r)
della s. lucretia gonzaga.
Candida Cerva al suo bel collo intorno
Nessun mi tocchi, ha in lettre d’oro impresso:
Cio di lucretia ha’l bel thesoro espresso;
Che le fa’l petto immortalmente adorno.
Così, mentre n’apporti Apollo il giorno,
E splenderà la Luna;
In costei non havrà potenza alcuna
Mai ne tempo, ne morte, ne Fortuna.