1. DIRE STRAITS "Tunnel Of Love"
2. DIRE STRAITS "Romeo & Juliet"
3. DIRE STRAITS "Expresso Love"
4. DIRE STRAITS "Hand In Hand"
5. DIRE STRAITS "Solid Rock"
Alla fine, arrivati al terzo album, Knopfler si stanca dei Dire Straits e decide che è ora di intraprendere una propria carriera solita mandando a quel paese un gruppo che non gli ha mai permesso di esprimere la propria creatività. Stiamo parlando di David, ovviamente; Mark, quell’altro, si butta a capofitto nella realizzazione di un disco che cambia il volto dei Dire Straits e li proietta verso la nuova decade vestiti per stupire e con un promesso ruolo da protagonisti.
Arrivati al terzo album il rischio di proseguire sulla falsariga dei primi due lavori era concreto, così come la conseguente naturale discesa nell’anonimato, ma già al primo ascolto salta all’orecchio che l’intro squisitamente melodico di “Tunnel of love” (“Carousel Waltz”, una melodia di Rodgers e Hammerstein recuperata da Mark Knopfler in un qualche negozietto di dischi) non ha niente a che vedere con l’inizio timido e silenzioso di “Down to the waterline” o “Once upon a time in the west”. La differenza si coglie subito, ci vuole il tempo di arrivare al primo bridge di “Tunnel of love” per avere tutto chiaro in mente: Knopfler ha svoltato, ha capito di poter suonare la sua chitarra come un pifferaio magico farebbe con il suo piffero (magico) e quello che ci aspetta nelle prossime sei tracce non avrà quasi più niente a che vedere con il blues-rock dei primi due dischi. Prima di affrontare i successivi pezzi però c’è tempo per cancellare le ultime espressioni dubbiose dai visi scettici di chi si chiede se i Dire Straits non avrebbero fatto meglio a proseguire sulla loro precedente strada, ascoltando l’assolo conclusivo di “Tunnel of love” infatti non si può far altro che spalancare le braccia ed accoglierli, i “nuovi” Dire Straits, con tutta la gioia di sto mondo.
L’album propone poi, subito in seconda posizione giusto nel caso ci fosse ancora qualche irriducibie, quella che è destinata a diventare una ballata da insegnare a scuola: “Romeo and Juliet” seguirà Knopfler fino all’ultimo dei suoi concerti e milioni di cuori fino all’ultimo dei loro battiti. Una canzone inedita per il buon Mark, abituato a riempire i propri pezzi di assoli e fraseggi con la chitarra: qui si limita ad arpeggiare, e a cantare una storia d’amore. Nient’altro. “Skateaway” è ancora un pezzo anomalo, sebbene Knopfler torni a maneggiare la Fender dopo una serenata con il dobro: un tappeto di tastiera fa da sfondo ai suoi ritrovati divagamenti strumentali che si infilano quà e là quando la voce tace. “Expresso love”, al quarto posto, si riallaccia a “Tunnel of love” e alle sue melodie costruite in quello stile rock romantico targato “New Dire Straits”, in cui tastiera e chitarra giocano al gatto e al topo. La successiva “Hand in hand” è una nuova ballata più cupa e meno ariosa della monumentale “Romeo and Juliet”, al numero due; in questo caso i sogni vengono lasciati da parte per dare spazio alla consapevolezza di un amore finito, la musica che costituisce questo pezzo suggerisce l’immagine di un pomeriggio passato in casa con le luci spente mentre fuori diluvia. Probabilmente uno dei pezzi più sottovalutati dell’intera carriera del gruppo, visto che mai è stata proposta dal vivo. Discorso opposto invece per la sesta canzone, la frizzante “Solid rock” che per centinaia di concerti è stata proposta come penultimo pezzo della scaletta, stesso ruolo che le tocca su questo disco quasi come se compito suo e della sua energia contagiosa fosse quello di non far rendere conto a nessuno che si va verso la fine.
La fine, qui, è “Les boys”, la quale chiude l’album in modo piacevole pur rappresentando un abbassamento di livello rispetto a quanto ascoltato finora. Ciò tuttavia non intacca minimamente quello che è il primo disco dei nuovi Dire Straits, di Knopfler senza Knopfler, il loro tappeto rosso (con i bordi blu) verso l’eternità.