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Ascolta il Disco Base della settimana
1. RENATO ZERO "Mi Vendo"
2. RENATO ZERO "Tragico Samba"
3. RENATO ZERO "Morire Qui"
4. RENATO ZERO "Manichini"
5. RENATO ZERO "Il Cielo"
“Attenzione, avvertiamo i passeggeri di avere una sgualdrina a bordo, siete pregati di allacciare le cinture di castità e di non fumare, grazie”.
Dopo una gavetta lunghissima (l’esordio in concerto c’era stato nel 1964, le prime incisioni nel 1965, poi il teatro, il cinema, il musical, fino a tre album di scarso o medio successo), nel 1977 Renato Zero incassa i frutti di tanta attesa.
“Zerofobia” arriva come un fulmine a ciel sereno nel panorama del cantautorato mainstream, che a quel tempo era o d’amore o di protesta. La genialità di Renato Zero sta nell’aver sovrapposto i due generi, unendone un terzo, quella della trasgressione e dell’ambiguità sessuale, che all’epoca rappresentava indubbiamente una novità. A rendere ancor più esplosiva la miscela, c’era il fatto che Zero, truccato pesantemente e ancheggiante più che mai, coloriva alcuni suoi brani di una forte valenza tradizionalista e ultracattolica. Insomma, tutto e il contrario di tutto. Ecco perché questo ‘Zerofobia’, che personalmente ritengo uno degli album più riusciti e godibili nell’ambito della musica italiana (lo spettacolo dal vivo, comunque, è cento volte meglio) rappresenta la summa artistica del cantautore della Montagnola.
L’album si apre con “Mi vendo”, (va bene, la conosciamo tutti… ), che su un arrangiamento disco (in definitiva siamo nel 1977) racconta una storia che sembra scritta per il 2006: un imbonitore che vende grinta e felicità a chi ne è sprovvisto. Segue l’intensa “Vivo” e poi si passa a “Sgualdrina”, una bizzarra cover di “Dreamer” dei Supertramp (il titolo parla da sé). Da qui in avanti gran parte del disco ruota intorno alla figura di questa donna con la quale, evidentemente Renato doveva avere un conto aperto. E’ sempre lei la protagonista di “Tragico samba”, che si trascina tra psicofarmaci, violenze sessuali e aborti a raffica. La cavalcata misogina prosegue con “L’ambulanza” e con la strepitosa “Morire qui”, impietosa cronaca rock di un amore allo stadio terminale (“Che strano esisto anch’io sotto il tuo stesso tetto/Quello che siamo noi è un letto ormai disfatto/Senza più un avvenire, senza più dignità/Con il veleno nel cuore, nella meschinità”).
“La trappola” è un altro rock di immediato impatto (dal successivo Zerolandia si passerà a un pop molto più melodico e edulcorato), mentre “Regina” conferma che questo è un concept album dedicato a una donna di dubbia virtù (“Sporca, ladra, rubi e te ne vai/Quando un uomo non conosce i vizi tuoi/Quando un uomo accanto a te non è un uomo mai/Mai”). La chiusura è affidata a due capolavori (opinione personale): “Manichini”, ovvero gli esseri umani come fantocci, ma inconsapevoli di esserlo (“Chi ti muove i fili è Dio o Satana/Chi ti muove i fili è maschio o femmina/Chi ti prega, chi ti odia, chi ti aspetterà/Qualcuno, o qualche cosa, i fili certo muoverà”); e “Il cielo”, clamoroso affondo antiabortista che da quel momento diventa la canzone simbolo di Zero. Il testo lo metto tutto perché merita davvero. E chiudo in gloria.
“Quante volte ho guardato al cielo/Ma il mio destino è cieco e non lo sa/E non c’è pietà per chi non prega e si convincerà/Che non è solo una macchia scura il cielo.
Quante volte avrei preso il volo/ma le ali le ha bruciate già/La mia vanità e la presenza di chi è andato già/Rubandomi la libertà,il cielo.
Quanti amori conquistano il cielo/Perle d’oro nell’immensità/Qualcuna cadrà, qualcuna invece il tempo vincerà/Finché avrà abbastanza stelle il cielo.
Quanta violenza sotto questo cielo/Un altro figlio nasce e non lo vuoi/Gli spermatozoi l’unica forza tutto ciò che hai/Ma che uomo sei, se non hai il cielo.”