La ricorrenza del loro matrimonio
Almanaccando
Domani, 17 giugno, per la tradizione antica corrisponde al giorno in cui il mitologico Orfeo sposò Euridice.
Orfeo era un musicista, un poeta, un cantante. Oggi si direbbe un cantautore. D’altra parte non poteva non esserlo: il suo papà era Apollo, dio della musica, e la sua mamma era Calliope, la musa del canto.
Quando Orfeo cantava, accompagnato dal dolce suono della sua lira, tutti lo ascoltavano estasiati e succedevano cose folli: gli animali uscivano dalle loro tane per ascoltarlo, gli uccelli si fermavano sopra di lui e i pesci mettevano fuori la testa dall’acqua. E cosa cantava Orfeo? Canzoni d’amore, ovviamente. Orfeo era perdutamente innamorato di una ninfa chiamata Euridice, la quale aveva accettato di sposarlo.
Euridice, però, non piaceva solo a Orfeo. C’era anche un tale Aristeo, un pastore manesco, che aveva messo gli occhi sulla bella fanciulla. E un giorno, scoprendola nuda a fare il bagno in un laghetto da sola, le saltò addosso. Ora, dico io, a quell’epoca la violenza carnale era già cosa all’ordine del giorno; forse non era molto saggio per queste ninfe mettersi, nude, a fare il bagno tutte sole… Vabbè, fatto sta che Euridice si mise a correre per sottrarsi alle grinfie del pastore arrapato. E, senza volerlo, pestò una vipera velenosa che la morse e, in pochi minuti, ella morì.
Orfeo, quando seppe la notizia, impazzi dalla disperazione. E non esitò a scendere nell’Oltretomba per ricercarle la sua sposa. Seppe commuovere le divinità infernali coi suoi canti e ottenne il permesso di riportarla alla luce, ma a patto di non cercare mai di guardarla prima di essere tornati entrambi alla luce del sole. Mai!
Euridice lo seguiva, sulla strada del ritorno. Più volte Orfeo fu tentato di girarsi per vedere se ella fosse dietro di lui. Ma non si voltò, sapendo che l’avrebbe persa per sempre. “Devo resistere”, pensò, “devo resistere”. Poi sentì la luce del giorno sul suo viso, capì di essere uscito all’aperto. Si voltò ma… Euridice non era ancora completamente uscita dal cunicolo. Ella si era attardata, le faceva male la caviglia, quella morsa dal serpente.
Euridice gli stava di fronte e con le mani si tolse il velo che ancora la ricopriva. Era bella più che mai, ma gli occhi erano tristi. Fu un attimo. Una nebbia fitta e grigia avvolse la giovane che scomparve negli abissi per sempre.
A Orfeo non rimase che il canto e la musica della sua lira. E la costellazione della Lira, che nelle notti estive si trova proprio sopra le nostre teste, facilmente riconoscibile per quel faro notturno che è la splendente Vega, ci ricorda proprio questa storia.
[rudy favaro]