Una storia, una curiosità, un avvenimento da ricordare
Almanaccando
Il 18 febbraio nell’antica Roma era il giorno sacro a Tacita Muta, dea del silenzio, e della sospensione dei discorsi non amichevoli e delle malelingue. Ovidio ci racconta che Tacita era una ninfa, il cui nome in principio era Lala, un nome derivato dal verbo greco “”laleo””, che significa parlare, chiacchierare. Prima di essere celebrata col nome di Tacita, dunque, Lala parlava. Ma, ahimè, parlava troppo, anche a sproposito. Un giorno, infatti, ebbe la pessima idea di svelare a sua sorella l’amore che Giove nutriva per lei, rendendo vani i tentativi di seduzione del dio. E Giove, per punirla, le strappò la lingua. A Roma in questo giorno chi poteva mangiava pesce, animale muto per eccellenza. Le donne partecipavano a dei riti che avevano come fine ultimo quello di chiudere la bocca alle maldicenze. Una storia significativa quella di Tacita, la storia di una donna leggera, incauta, irriflessiva, che aveva fatto cattivo uso di una qualità di cui i romani andavano particolarmente fieri: la parola. Quella parola che, se usata nel modo giusto, consentiva ai retori di dimostrare le loro tesi; diventava uno degli strumenti fondamentali della lotta politica; influenzava e determinava la pubblica opinione; induceva il popolo a rispettare i detentori del potere, a riconoscerli come rappresentanti, a obbedirli e a seguirli. Bisognerebbe reintrodurre questa festa in certa Roma odierna. E forse anche altrove.
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