Una storia, una curiosità, un avvenimento da ricordare
Almanaccando
Siamo in Messico. Il 10 del aprile 1919 un uomo in sella a un cavallo, solo e senza scorta, sotto un sombrero, se ne va a testa alta incontro al suo destino. A un cenno decine di soldati federali, che stavano acquattati e nascosti dietro a tetti e balconi, si affacciano con le carabine puntate e aprono il fuoco contro quell’uomo che avanza, tranquillo e fiducioso. Era un’imboscata. Era stato tradito. Lui, crivellato di colpi, non ha neanche il tempo di estrarre la pistola e cade nella polvere. Muore così, in modo decisamente cinematografico, Emiliano Zapata, rivoluzionario messicano. Poi il suo cadavere viene trasportato nella piazza dove è ospitato anche il quartier generale dei militari. Per un giorno resta esposto su un catafalco. Un’enorme processione silenziosa di peones, di campesinos e di donne indios in lacrime gli passano accanto, facendosi il segno della croce. Alcune ragazze agitano riverenti sopra di lui rami di palma – i rami di palma della vittoria – per tenere lontane le mosche. Superstiziosamente tutti notano che, mentre il suo abito è macchiato di sangue, il suo viso invece è intatto e calmo. Verso il tramonto una donna che sembra india ma in realtà è Hélene Pontipirani, giornalista francese di origine romena amante di Zapata, scende da un cavallo e si fa strada tra la folla fino al cadavere. Si fa il segno della croce come gli altri, poi fa un passo avanti e, chinandosi, lo bacia sulle labbra. La folla aumenta. I militari sono inquieti e fanno ritirare il corpo. La testa di Zapata viene tagliata e legata con una corda a un mulo che la porta in tutto lo stato del Morelos, la culla della rivoluzione zapatista. Per convincere il popolo che Zapata, l’Invincibile, era morto. Aveva iniziato guidando un piccolo esercito di campesinos male armati contro i grandi proprietari terrieri e i loro abusi. Era arrivato a conquistare Città del Messico e a dare il via a una esperienza di democrazia diretta. Viva Zapata!
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