Fabrizio De Andrè “Storia di un impiegato” (1973)

Fabrizio De Andrè “Storia di un impiegato” (1973)

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Ospite della settimana è Franco Panza, cuoco di resistenza

Ascolta il Disco Base della settimana

1. FABRIZIO DE ANDRE' "Canzone Di Maggio"
2. FABRIZIO DE ANDRE' "Al Ballo Mascherato"
3. FABRIZIO DE ANDRE' "La Canzone Del Padre"
4. FABRIZIO DE ANDRE' "Il Bombarolo"
5. FABRIZIO DE ANDRE' "Verranno A Chiederti Del Nostro Amore"

discobase-fb-logoDi lui Mario Luzi, uno dei principali esponenti della poesia italiana del 900 ha detto: “De André è veramente lo chansonnier per eccellenza, un artista che si realizza proprio nell’intertestualità tra testo letterario e testo musicale. Ha una storia e morde davvero”.
”Ha una storia e morde davvero”, e la storia in questo caso morde ferocemente e suscita polemiche accesissime, anche politiche, fra la sinistra che lo accusò di qualunquismo e la destra che lo tacciò di essere un pericoloso eversivo.
Ma, la vera forma di terrorismo che si possa imputare a questo lavoro, tra l’altro ampiamente voluta, è quella contro le coscienze della massa, di chi “aspetta la pioggia per non piangere da solo” e con il proprio immobilismo si rende complice di chi muove i fili del baraccone.
Il trentenne protagonista del concept-album potrebbe essere, almeno in partenza, il fratello figlio unico di Rino Gaetano, colui che deve barcamenarsi fra le proprie frustrazioni, quelle di una vita monotona e disarmante, e la voglia, che cresce progressivamente, di emulare i “cuccioli del maggio francese”, di chi é ormai fuori tempo massimo. L’impiegato comincia a covare dentro di sè una voglia di vendetta, di rivalsa nei confronti del responsabile principale delle frustrazioni sue e non solo, il potere. Che sia quello paterno, giudiziario o della borghesia. Nella sua smania di ribellione il protagonista finisce per diventare strumento del potere stesso, fino ad equipararsi agli apparati che critica e combatte. Si investe infatti di un potere tutto suo, dopo un percorso non poco tormentato. La posizione che assume é infatti, una posizione individualista, quindi egoista. Il suo percorso si dipana fra i sogni del “ballo mascherato”, in cui si immagina infiltrato di una festa, che fra i suoi invitati includa tutti i simboli di queste tre forme di potere, e che immagina di scardinare con l’uso del tritolo e il pensiero di tornare alla sua vita tranquilla e obbediente.
A questo punto il suo sogno si sposta fino ad un’aula di tribunale, in cui l’impiegato diviene, da ribelle, parte integrante del potere, quello borghese, che gli fa notare la sua voglia di aderirvi, ringraziandolo per aver rinnovato gli elementi del potere, senza scalfirne le logiche. E’ in questo momento, che dopo il risveglio dall’incubo, decide “lucidamente” di passare all’azione, e la “bomba in testa” decide di collocarla nel luogo più ovvio, il parlamento. Il resto, é l’errore che le sue mani impreparate lo portano a compiere, fino alla sua condanna, stavolta vera, che lo porta per la prima volta ad assaporare la vera uguaglianza sociale, quella fra i detenuti di un carcere.
Stupenda la lettura psicologica che De André fornisce del personaggio, quel tormento che viaggia fra l’ansia di una ribellione priva di logica e le sirene affascinanti della violenza. Altro particolare non trascurabile é l’uso costante e mirato di continue metafore da parte dell’autore, metafore che arricchiscono il lavoro con un linguaggio duro e moderno. Dal punto di vista musicale, l’opera rappresenta una delle vette più alte raggiunte del cantautore genovese, che riesce benissimo nell’intento di creare quelle atmosfere oniriche e angoscianti, necessarie per rendere un simile processo mentale. Si passa da ritmi cupi e lenti, a squarci di progressive rabbioso, che si sposa benissimo con i passaggi più pregni di rabbia e volontà omicida del bombarolo, fino alla splendida ballata “verrano a chiederti del nostro amore”, intensa e tristissima.
La strumentalizzazione del pensiero del Faber, in un album delicato e di denuncia sociale come questo, é cosa facilissima, ma mai come questa volta, di parte e sbagliata. Infatti, “Storia di un impiegato” non é un’esortazione alla violenza, nè una benedizione del terrorismo, ma l’esatto opposto. E’ un’analisi fredda e durissima dei risvolti sociali e psicologici che stanno dietro simili gesti, ma é anche una condanna per chi si erge a potere e lo fa in un modo sbagliato. Lo stesso De André, si preoccuperà, più tardi, di chiarire alcune cose. Anarchico si, ma nel significato più autentico del termine, cioè convinto che ogni uomo possa governarsi da solo, senza il bisogno delle istituzioni opprimenti, e possa governarsi, riponendo fiducia nel fatto che ogni altro uomo faccia lo stesso responsabilmente. Aggiunge poi, che se qualcuno ha fatto diventare la parola anarchico qualcosa di orribile e sinonimo di violenza, tale definizione non gli appartiene più.
Un album meraviglioso, nel quale De André da voce alla disperazione di chi, nelle logiche sociali, altro non é che un numero, che magari può tornare utile, di tanto in tanto, per assecondare il potere o per esserne il braccio operativo, spesso inconsapevole.

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Oltre a vicepresiedere come si conviene a un vicepresidente, ci guarda dall'alto dei suoi 192 cm. La foto non tragga in inganno.