Dream Theater “Images and words” (1992)

Dream Theater “Images and words” (1992)

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Disco della settimana scelto e commentato da Christian Vigelli, impiegato

Ascolta il Disco Base della settimana

1. DREAM THEATER "Learning To Live"
2. DREAM THEATER "Under A Glass Moon"
3. DREAM THEATER "Metropolis"
4. DREAM THEATER "Pull Me Under"
5. DREAM THEATER "Take The Time"

discobase-fb-logoI Dream Thea­ter sono uno dei grup­pi più ama­ti-odia­ti del mondo. C’è chi li ama a tal punto da con­si­de­ra­re acri­ti­ca­men­te tutti i loro album dei ca­po­la­vo­ri as­so­lu­ti e c’è chi li odia a tal punto da non po­ter­li sen­ti­re no­mi­na­re. Sono co­mun­que riu­sci­ti nel­l’im­pre­sa di ren­de­re po­po­la­re un ge­ne­re osti­co come il prog metal. Il grup­po è com­po­sto da Char­lie Do­mi­ni­ci (canto), Kevin Moore (ta­stie­re), John Pe­truc­ci (chi­tar­re), Mike Port­noy (bat­te­ria) e John Myung (basso); tutti mu­si­ci­sti do­ta­ti di un tec­ni­ca no­te­vo­lis­si­ma, ma que­sto forse a di­sca­pi­to della co­mu­ni­ca­bi­li­tà. Le cri­ti­che che  ven­go­no loro ri­vol­te dai de­trat­to­ri suo­na­no spes­so cosi: “trop­pa tec­ni­ca, poca anima”. E in­fat­ti non hanno tutti i torti. Nei loro mo­men­ti mi­glio­ri i Dream Thea­ter sono de­va­stan­ti, però spes­so in­du­gia­no in suite dalle du­ra­te fran­ca­men­te ec­ces­si­ve, tanto da ri­sul­ta­re no­io­si e per­si­no ir­ri­tan­ti.
“Ima­ges And Words” è il loro se­con­do album, usci­to tre anni dopo il di­scre­to “When Dream and Day Unite”, pas­sa­to pra­ti­ca­men­te inos­ser­va­to. Si trat­ta anche del de­but­to del can­tan­te James La­Brie al posto di Do­mi­ni­ci. E’  uno dei loro di­schi più ac­ces­si­bi­li come du­ra­ta (“solo” 57 min.), e sarà il loro primo suc­ces­so, tanto che con­qui­ste­rà il disco d’oro egli U.S.A. “Pull Me Under”  è un brano sem­pli­ce e li­nea­re per i loro stan­dard. Non man­ca­no ov­via­men­te gli as­so­li di ta­stie­ra e chi­tar­ra, ma tutto è no­te­vol­men­te con­te­nu­to. E’ un pezzo ma­gni­lo­quen­te, ma è anche il peg­gio­re, con i suoi otto mi­nu­ti di du­ra­ta (trop­pi).
“Ano­ther Day”  è una bal­lad me­lo­di­ca di gran clas­se (ma anche un pò ruf­fia­na), do­mi­na­ta dal canto di La­Brie e chiu­sa da un bel as­so­lo di sax. I Dream Thea­ter si con­ce­do­no un mo­men­to di di­sten­sio­ne, cer­can­do di es­se­re frui­bi­li ad un pub­bli­co più ampio. Ma è una breve pa­ren­te­si; “Take The Time” è un brano mul­ti­for­me e sfac­cet­ta­to, il primo del disco che di­mo­stra la ca­pa­ci­tà te­ni­che del grup­po. La voce è po­ten­te al punto giu­sto, men­tre gli stru­men­ti sono ben amal­ga­ma­ti. Di pre­ge­vo­le fat­tu­ra è l’as­so­lo di ta­stie­re nella parte cen­tra­le, poi ri­tor­na il canto e poi tocca a Pe­truc­ci chiu­de­re in bel­lez­za con un as­so­lo me­lo­di­co. Sta­vol­ta gli otto mi­nu­ti non sono di trop­po. “Sur­roun­ded”  è una can­zo­ne dai trat­ti ma­lin­co­ni­ci: ini­zia con la voce dai toni sof­fu­si, ac­com­pa­gna­ta dal pia­no­for­te e dagli archi, poi en­tra­no altri stru­men­ti e il brano si ve­lo­ciz­za, per poi tor­na­re alle so­no­ri­tà ini­zia­li. Com­po­si­zio­ne non ec­ce­zio­na­le, è la se­con­da tra­scu­ra­bi­le del­l’al­bum. Non si può tra­scu­ra­re in­ve­ce “Me­tro­po­lis – Part I “The Mi­ra­cle and the Slee­per”, pic­co­lo ca­po­la­vo­ro di pe­ri­zia stru­men­ta­le. La voce tocca vette inau­di­te, per poi la­scia­re spa­zio ad una lunga parte stru­men­ta­le al car­dio­pal­ma, dove i mu­si­ci­sti crea­no un tra­vol­gen­te muro di suono e tra­sci­na­no l’a­scol­ta­to­re nel loro vor­ti­ce; si fi­ni­sce con La­Brie a con­ce­de­re l’ul­ti­mo acuto. Dopo que­sta tem­pe­sta so­no­ra “Under A Glass Moon” può sem­bra­re poca roba, in­ve­ce si di­mo­stra al­l’al­tez­za della si­tua­zio­ne: a dare spet­ta­co­lo è Pe­truc­ci, che si esi­bi­sce in un as­so­lo d’an­to­lo­gia.
“Wai For Sleep” è una splen­di­da com­po­si­zio­ne, che si av­va­le di un bel­lis­si­mo giro di piano e una me­lo­dia toc­can­te. E’ la breve in­tro­du­zio­ne che ci porta al brano più este­so del disco: “Lear­ning To Live”. Si trat­ta di una vera e pro­pria suite, com­ples­sa e am­bi­zio­sa, che me­sco­la jazz, parti acu­sti­che e prog metal. Par­ti­co­lar­men­te emo­zio­nan­te la parte fi­na­le, con la ri­pre­sa del tema di “Wait For Sleep” e la chiu­su­ra in sfu­man­do, che ter­mi­na in bel­lez­za il la­vo­ro. Si trat­ta in­dub­bia­men­te del loro album mi­glio­re; in se­gui­to di­ver­ran­no ri­don­dan­ti e pro­lis­si, pur com­po­nen­do, sal­tua­ria­men­te, brani di ot­ti­ma le­va­tu­ra (“A Chan­ge Of Sea­sons” su tutti).

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Oltre a vicepresiedere come si conviene a un vicepresidente, ci guarda dall'alto dei suoi 192 cm. La foto non tragga in inganno.