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Ascolta il Disco Base della settimana
1. DEVO "Uncontrollable Urge"
2. DEVO "Satisfaction"
3. DEVO "Prayng Hands"
4. DEVO "Mongoloid"
5. DEVO "Jocko Homo"
L’esordio dei Devo viene spesso indicato come uno dei capolavori della new wave americana, ed essendo uscito nel ’78 è cronologicamente in perfetta regola. In realtà, però, la prima line-up, differente solo di un batterista da quella che salirà agli onori della cronaca, vede la luce nel ’73. Il primo brano documentato, “Smart Patrol” viene composto nel ’74 e la prima performance multimediale (parola adattissima, ma molto meno usata allora di adesso) risale al ’75.
Se quindi è forse eccessivo sostenere che non avessero a che fare con la new wave, va riconosciuto che i primi anni del progetto, durante i quali verrà codificato lo stile e verranno inquadrati i fini, furono vissuti dalla band al di fuori di qualunque giro rock o pop. Primo perché, come illustrato sopra, erano in anticipo sui tempi, e secondo perché non erano né della costa Est né di quella Ovest, bensì di Akron, Ohio. Esaustivamente descrivibile come “la capitale americana della gomma”. Un posto decisamente fuori mano, ma non abbastanza per cinque studenti d’arte fan scatenati dei Kraftwerk.
Nel ’77 i gemelli Bob e Jerry Casale (rispettivamente chitarra e basso), i fratelli Bob e Mark Motherbaugh (voce e tastiere) ed il recente acquisto Alan Myers (batteria), preparano lo scheletro del loro progetto di musica, video e grafica e l’imbottiscono con le loro meno visionarie esperienze, stabilendone definitivamente le coordinate. Trovano il tempo di distribuire i primi singoli, tra cui l’epocale “Jocko Homo/ Satisfaction”, tramite la Booji Boy, loro etichetta indipendente, e di attirare l’attenzione, tra gli altri, di Iggy Pop, che sembra intenzionato a produrre il loro primo album, ma successivamente rinuncia (e chissà che disco sarebbe stato, il primo dei Devo prodotto da Iggy Pop!).
Il magico oggetto, brevemente identificato come “Q.: Are We Not Men? A.: We Are Devo”, viene edito dalla Virgin con una copertina per continente, a causa dell’artwork almeno “strano” e sicuramente non abbastanza commerciale. Viene prodotto da Brian Eno e promosso dalla band in tour con il “fan” Neil Young.
Il concetto è semplice: la società americana sta regredendo, sta compiendo un’evoluzione al contrario, una “DE-EVOlution”. Il prossimo stadio della de-evoluzione è l’uomo-patata, ed è questione di poco tempo, perché gia siamo lobotomizzati, capaci di rispondere solo agli stimoli più semplici e bassi, oltre che infelici è costretti a invidiare la situazione di un mongoloide. Il Dna già sta lavorando in questo senso.
Per portare in scena efficacemente tutto questo, i Devo accentuano nel look le loro somiglianze fisiche, si vestono con tute gialle dal lavoro e cappelli improbabili, quando non si camuffano da patate, trascinano sul palco banane giganti o proiettano video a tema. Si muovono a scatti, andando a tempo con una musica ritmicamente primitivissima ed elementare, percorsa da accordi di chitarra squadrati anch’essi e da flash di synth ripetitivi. A tempo va pure la voce, gradevole e spiegata, ma che procede a scatti. Ovvio che l’ironia ha un ruolo fondamentale in tutto questo, specie nei testi.
Fin qui questo potrebbe essere stato l’efficace ritratto di una folkloristica band electro di dubbio gusto, al limite antesignana del lato degenere degli anni 80, quindi una mera curiosità filologica. Se non fosse che, ciliegina sulla torta, i Devo facevano rock’n’roll… erano una punk band, ancora prima che una band “new wave”. Con l’accezione di punk in uso tra i quindicenni, né più né meno. Il disco in questione ne è la miglior testimonianza.
Si può cominciare ad ascoltarlo dal classicone “Mongoloid”: comincia con un giro di basso killer, continua con la chitarra e il canto che vanno dietro al basso. Una canzone che colpisce sempre al primo ascolto, nonostante certi suoni a dir poco fuori moda, non a caso, è fonte incessante di campionamenti dal giorno felice in cui uscì. Senza fare neanche la fatica di programmare lo stereo, tanto è subito dopo, passiamo a “Jocko Homo”, vero manifesto contenente le immortali frasi del titolo. Stupefacente quanto sia minimale, ma orecchiabile allo stesso tempo. Il ritmo è dislessico e le armonie pure, ma ti prende per sempre.
“Uncontrollable Urge” è l’inno definitivo alla masturbazione, uno dei pezzi più vorticosi di un anno prodigo di pezzi vorticosi. Punk puro, e migliore di tanto punk. “Shrivel Up” è lievemente più articolata, e insieme alla cover “spastica” della rollingstoniana “Satisfaction”, è la prova, una volta per tutte, che punk è un’attitudine. In particolare la seconda è in questo senso sconvolgente: si riconosce solo per il testo in teoria, per un’infinità di piccoli “qualcosa” nella pratica.
Gli esemplari sono in tutto dodici , tutti primitivi, gelidi ed esuberanti. Confrontandoli con quelli contenuti nel “Devo Live” del ’79 ci si accorge della mano un tantino pesante avuta da Eno in studio, che ha scelto di marcare il lato primitivo e ossessivo della musica, a scapito dell’istinto pop di un gruppo capace di performance dal vivo veramente coinvolgenti. In realtà, la scelta non si rivela sbagliata: in virtù del lavoro di Eno, i Devo non sono stati una garage band come tante, ma comunque non hanno visto soffocata la loro attitudine. Al di là delle sovrastrutture fornite da critici amanti comprensibili dall’atto gratuito del pompare allo sfinimento i propri dischi preferiti, anche all’ascoltatore più crudo l’esordio dei Devo appare un disco pop (nel senso che si ascolta e si canticchia all’istante).
Strano, in verità, un tarlo nella mente di chi ha sempre creduto che il segreto del “ritornello-che-prende” fosse nella perizia artigianale. Dopo l’ascolto di questo disco è evidente che non sia così. O almeno non solo. Oltre a essere uno dei dischi più originali del periodo, rimane spiazzante e anomalo, in bilico tra il gelo dei suoni e la carica rock’n’roll travolgente che striscia tra una traccia e l’altra. Se si aggiunge che la ristampa è reperibilissima e costa una miseria, è lampante come averlo sia un dovere non solo filologico, ma didattico: da Eno e dai Cinque di Akron c’è molto da imparare. Purtroppo nell’edizione su cd della Virgin manca l’artwork originale col ghigno sulla cover…
Dopo il loro brillante esordio – il dovere di cronaca è pressante – i Devo annacquarono la loro formula musicale, mantenendo invariata solo quella multimediale. Vendettero uno sproposito come folkloristica band electro di dubbio gusto un pochino demenziale. Ma in fondo avevano già fatto più del loro dovere…