Programma ideato e condotto da Alberto Lorenzini
In onda tutte le sere alle 20e15 - 22e15 - 00e15
1. SIMPLE MINDS "Someone Somewhere In Summertime"
2. SIMPLE MINDS "Promised You A Miracle"
3. SIMPLE MINDS "Big Sleep"
4. SIMPLE MINDS "New Gold Dream"
5. SIMPLE MINDS "Glittering Prize"
Con “New Gold Dream” i Simple Minds, ottima band attiva dalla fine degli anni 70, scrivono una delle pagine più belle della new wave britannica. Il disco è un lavoro di grande maturità, potremmo dire formalmente perfetto, che suggella una crescita costante del gruppo, dai primi lavori come “Life In A Day”, con la band ancora alla ricerca di un’identità precisa, fino alla realizzazione di potenti pop song come “The American”, “Sweat In Bullet” e “Love Song”, presenti negli album gemelli “Sons And Fascination” e “Sister Feelings Call” del 1981, che rappresentano l’immediata premessa al lavoro qui analizzato.
Con l’ingresso di Mel Gaynor, potentissimo e preciso batterista di colore, presente in quasi tutte le canzoni di “New Gold Dream”, la formazione, capeggiata dal carismatico vocalist Jim Kerr, si rinforza e completa ulteriormente. Il grande Derek Forbes al basso trova finalmente un partner ritmico ideale per esprimere con intensità e pienezza i groove danzerecci che faranno la fortuna della band, tanto stimata negli ambienti “alternativi” affini alla corrente post punk dominata da Cure e Joy Division, quanto ammirata negli ambienti vicini a un pop di più facile consumo e letteralmente sconvolto, in quegli inizi degli anni 80, dalla cosiddetta “British Invasion”, che trova nella diffusione dei videoclip uno degli elementi più caratterizzanti e, in fondo, anche innovativi (Depeche Mode, ABC, Human League fino anche ai fin troppo bistrattati Duran Duran).
La sezione armonica vede nell’esemplare lavoro di Michael MacNeil uno dei più alti saggi del suono “plastificato” delle tastiere di quegli anni e nel prezioso ricamo effettistico di Charles Burchill un altro saggio del suono dell’epoca, questa volta in ambito chitarristico. La prima traccia “Someone, Somewhere In Summertime” è il primo inno del disco. Su un serrato tappeto ritmico che pulsa sui quarti, il riff della chitarra introduce la strofa che si apre sui caratteristici tappeti di tastiere dell’epoca. La canzone sale avvolgente fino ad approdare al ritornello con Kerr che lancia lo slogan che dà il titolo alla canzone. “Colours Fly And Catherine Wheel” è dominato dal bel riff plettrato di Forbes, con ricami e intarsi di tastiere e chitarre. La strofa gira concentricamente su se stessa, simulando solamente il lancio in un ritornello che di fatto non esiste.
La terza traccia “Promised You A Miracle” è una delle hit del disco che si apre con un fresco e invitante inciso ripetuto più volte nello sviluppo del brano. Anche qui paradigmatico il lavoro di tastiere di MacNeil. “Big Sleep” si regge sull’intreccio del semplice riff di tastiere e del bel giro di basso slappato su cui si riversa come una polvere magica la pioggia di note della chitarra e, su tutto, il martellante incedere della batteria sui quarti: uno dei più begli esempi di song ipnotica prodotta dalla new wave. La strumentale e poco significativa “Somebody Up There Likes You” chiude l’ideale prima facciata del disco.
“New Gold Dream (81-82-83-84)” è la canzone manifesto del disco. Si parte con il serratissimo pulsare del basso sul riff delle tastiere e poi è tutta una fantastica galoppata con un epico Kerr a inneggiare al sogno dorato di quei primi anni 80 (…e forse qualcuno ha ancora il ricordo del sottile sapore dell’amarezza all’alba dell’anno del Signore 1985, quando quella generazione, la mia, si accorse che lo slogan era superato e un’epoca tramontata…). “Glittering Prize” vede ancora protagonisti Forbes, con il bellissimo riff di basso che regge l’intera canzone e un sempre saltellante MacNeil, con le sue tastiere che lasciano spazio nel ritornello ai ricami chitarristi di Burchill. Della canzone è degno di nota il bel videoclip.
L’episodio forse più intenso dell’intero album resta “Hunter And The Hunted”, una delle più belle canzoni dell’intera produzione dei Minds e quindi della new wave britannica. La sensazione di attesa che si respira nel pezzo, e che in altri brani della band sfocia in un nulla di fatto, qui raggiunge l’acme, qui ha un suo punto culminante. Ecco, il vertice dell’intero disco è in quel preciso istante, quello in cui si condensano in forma di note tutti i sogni dorati alimentati dal sound della band: la pazzesca, inimitabile e magica intro del solo di Herbie Hancock alle tastiere, qui in veste di ospite di lusso.
Il disco si chiude con la tenebrosa e inquietante “King Is White And In The Crowd” con un gioco di tastiere che sembra rievocare i Kraftwerk e con Forbes che ammicca all’immenso Mick Karn. E, in effetti, questa canzone appare a posteriori più ardita del resto delle architetture semplici dei Simple Minds, e più vicina alla progettualità ambiziosa dei Japan, partiti dal medesimo substrato culturale e approdati a lidi di maggiore spessore artistico e compositivo.
L’album nel suo complesso risulta notevole per l’equilibrio sonoro raggiunto, una sintesi perfetta del suono a forti tinte elettroniche e tentazioni dance che passa sotto il nome di “British Invasion”. Da lì a poco, la band tenterà una virata verso il rock con il sempre notevole “Sparkle In The Rain” del 1984 (forte della struggente “Up On The Catwalk”), che alimenterà presso la stampa specializzata una fittizia competizione con gli U2 di Bono per lo scettro di migliore band in circolazione. Ma sono solo gli ultimi sussulti. Con il singolo “Don’t You (Forget About Me)” del 1985, Derek Forbes dirà addio ai Minds e il gruppo al suo periodo più soddisfacente.
Ondarock