L'estro di Bartolomeo Stefani
Un saluto e bentrovati a tutti gli ascoltatori!
Tutti i mantovani conoscono il cappone alla Stefani ma forse non tutti sanno chi fu Bartolomeo Stefani, il cuoco bolognese al servizio dei Gonzaga. Visse nel tempo in cui le ricche corti italiane si circondavano dei migliori artigiani per celebrare il proprio potere, e lo Stefani fu uno di questi, nipote del capocuoco della Repubblica Serenissima di Venezia, conosciuto da tutti i regnanti d’Europa per la maestria e l’abilità.
Bartolomeo Stefani è l’autore di uno dei testi più noti della letteratura gastronomica italiana, “L’arte del ben cucinare”, stampato a Mantova nel 1662. Un ricettario frutto dei suoi esperimenti e scritto direttamente in cucina; l’autore stesso racconta che quelle pagine, prima che dai torchi dello stampatore, furono impresse “fra gli unti” dei piatti con “imbrodata” filosofia.
“L’arte del ben cucinare” è un manualetto didattico e di pronto uso, che non insegna solo come ottenere un piatto spiegando l’uso degli ingredienti, ma che fornisce anche una sorta di galateo della buona tavola, consiglia ranghi e ruoli nelle squadre in cucina, propone banchetti da intavolare secondo i differenti mesi dell’anno e suggerisce allestimenti sceografici sopra le tovaglie.
Lo Stefani dimostra di avere un’ottima conoscenza delle materie prime dei vari territori. Sostiene che la “stagionalità” dei prodotti non esiste per “chi ha valorosi destrieri, e buona borsa”. Insomma, anche nel Seicento, con i giusti mezzi, si potevano trovare i prodotti necessari alle varie ricette in ogni momento dell’anno. Così tra i suoi ingredienti ci sono cedri, limoni, arance, carciofi, asparagi, cavolfiori, fave che si fa arrivare da Napoli, dalla Sicilia o dalla Riviera ligure. D’inverno cerca gli asparagi bianchi, i piselli e i carciofi che si coltivano negli orti nei pressi di Venezia. A Bologna, sua patria, Stefani reperisce speciali finocchi cardati, uva passita, olive e mortadelle. Da Firenze vuole i salami con l’aglio e i formaggi marzolini, da Modena le salsicce, da Ferrara i pesci, i cinghiali e il caviale.
Tutta la scienza di questo cuoco ducale era al servizio della corte. Del resto, se un talentuoso voleva fare nuovi esperimenti con grandi disponibilità economiche, la corte era l’unico luogo possibile per creare con fantasia e spettacolarità. Lo stile gastronomico era esso stesso un elemento che dava lustro al Duca: doveva essere una sorta di teatro delle meraviglie, stupire al pari delle gallerie ripiene di dipinti e sculture, del fasto dei palazzi, degli abiti sontuosi, delle rappresentazioni sui palcoscenici. Il “gusto” doveva concorrere alla stessa stregua degli altri quattro sensi.
Ecco allora che lo Stefani propone una cucina colorata e odorosa, con manufatti che nulla hanno da invidiare alle opere d’arte della corte. Dispone le vivande e adorna i piatti come se fossero monumenti o statue. Celebri rimangono i tre banchetti ordinati dal Gonzaga per la regina Cristina di Svezia, in visita a Mantova nel 1655. E’ lo stesso cuoco a descrivere nel suo libro i menù andati in tavola, con dovizia di particolari sullo sfarzo delle apparecchiature, sull’abbondanza dei servizi e sull’imponenza dei piatti.
Una cucina che è un trionfo del burro e dello zucchero. Per lo Stefani, il marzapane avvolge il prosciutto, le coppe e i salami; un letto di savoiardi accoglie le minestre di rognone; il pan di spagna lavorato con zucchero e cannella finisce nella zuppa di piccioni; le ciambelline circondano il fegato di vitello; la polvere di mostaccioli viene sparsa sui gallinacci ripieni e sui fagiani.
Tra le numerose ricette che il Nostro inventa per la viziata corte mantovana ve ne propongo oggi una facile da realizzare.
Cavolfiori in salsa alla maniera dello Stefani: pulite e lavate un cavolfiore, dividetelo in tante cimette, lessatelo in acqua salata e scolatelo leggermente al dente. Nel frattempo preparate una salsa in questo modo: in un tegamino saltate con un po’ di burro dei pistacchi tritati; toglieteli quindi dal fuoco e incorporateci, mescolando rapidamente, uova sbattute con succo di limone.Disponete quindi le cimette di cavolfiore su un piatto da portata, versateci sopra la salsa, salate, pepate e servite la vivanda ben calda.
Buon appetito e a risentirci la settimana prossima!
Twitter: @Convivium_RB
Immagine: Pieter Claesz, Natura morta con torta di pavone, 1627