Il banchetto di Natale
Un saluto e bentrovati a tutti gli ascoltatori!
Siamo ormai arrivati a Natale e la tavola è sempre stata il luogo ideale per celebrare questa festa. L’abbuffata di cibo in compagnia è un rito che da sempre rinsalda i legami del gruppo e allontana la paura della fame. Ciò vale per ogni banchetto e, a maggior ragione, per la festa della Nascita e dell’inizio dell’inverno. Prima di Gesù la tradizione romana celebrava in modo analogo il solstizio, ovvero il risorgere del sole e della natura: da questo momento le giornate cominciano a riallungarsi!
Fra i cibi tradizionali e rituali destinati alle feste natalizie un posto di privilegio occupano le focacce dolci farcite di uvette, canditi e semi, che simboleggiano fertilità e ricchezza. Ma, come ben sappiamo, le grandi feste sono soprattutto il trionfo della carne, un po’ per il retaggio “sacrificale” che nell’antichità le era attribuito, un po’ per il fatto che essa è stata per lungo tempo il principale desiderio alimentare degli uomini, spesso represso e sicuramente difficile da soddisfare tra i ceti meno abbienti. L’atavica fame di carne era esorcizzata dal popolo, fino a non molto tempo fa, dai consumi esagerati dei giorni di festa, avvicinando per un momento il comportamento dei ricchi a quello dei poveri.
Non basta però mangiare molta carne nel giorno di festa. Bisogna anche mostrarlo, ostentarlo. Tutti devono sapere cosa accade in giro, perché il rituale funziona solo se è condiviso e comunicato al prossimo. Goethe, nel diario del suo viaggio in Italia del 1787, arrivando a Napoli nel periodo di Natale così scriveva: “La città diventa una specie di Paese di Cuccagna … un ufficiale a cavallo percorre a cavallo la città, accompagnato da un trombettiere, e annuncia nelle piazze e agli incroci quante migliaia di buoi, di vitelli, di capretti, di agnelli, di maiali i napoletani hanno consumato. Il popolo si rallegra a sentire quei grossi numeri, e ognuno ricorda con soddisfazione la parte che ha avuto in tale godimento”. Si annunciava a suon di tromba quanto erano stati bravi! Un’immagine emblematica che descrive efficacemente il valore simbolico delle mangiate di Natale, propiziatorie per il futuro e di scongiuro contro la fame.
La scorpacciata del giorno Natale non deve, e non doveva, venir meno in nessun caso. Nel corso del medioevo molti si domandarono che cosa fare se il 25 dicembre fosse caduto di venerdì, giorno dedicato alla moderazione alimentare e all’astinenza di carne. Si doveva far prevalere l’obbligo penitenziale o si doveva festeggiare lautamente la ricorrenza? Su questo dubbio intervenne addirittura Francesco d’Assisi che, interpellato da un suo discepolo in proposito, dette una risposta inequivocabile: “Tu pecchi, fratello, a chiamare venerdì di astinenza il giorno in cui è nato per noi il Bambino. In giorni come questo vorrei che anche i muri mangiassero carne o, poiché questo non è possibile, almeno ne fossero spalmati”. Francesco, come si sa, era particolarmente devoto al Natale. I suoi biografi ci raccontano anche di come egli volesse che in questo giorno i poveri e i mendicanti fossero saziati dai ricchi, e che i buoi e gli asini ricevessero una razione di cibo e di fieno più abbondante del solito. Addirittura pensava di poter chiedere all’imperatore di emanare un editto con il quale imporre a tutti coloro che ne avevano la possibilità di spargere per le strade frumento e granaglie, affinché in un giorno così solenne anche gli uccellini ne avessero in abbondanza.
Insomma, la festa del Natale si trasforma anche per il più poverello dei frati in una sorta di banchetto cosmico, che riunisce tutti gli esseri dell’universo, gli uomini ricchi e quelli poveri, gli animali della terra e gli uccelli dell’aria. E perfino i muri, se mai vi potessero partecipare.
Un sincero augurio di Buone Feste a tutti voi e a risentirci in gennaio!
@Convivium_RB
Bibl.: M. Montanari, “Il Riposo della polpetta (e altre storie intorno al cibo)”, Bari 2009
Immagine: Floris Gerritsz Van Schooten, Scena di cucina, 1620 ca.