Una frittella per Carnevale
Un saluto e bentrovati a tutti gli ascoltatori!
La fine del Carnevale è alle porte e la frittella è l’indiscussa reginetta dei dolci di questo periodo.
La storia di questo dolce si perde nell’epoca antica. Ma è con la Repubblica di Venezia che il successo delle frittelle arriva all’apice, tanto successo da essere nominate come il dolce nazionale della Serenissima e per la quali venne addirittura creata una corporazione apposita, quella dei “fritoleri”, nella quale si poteva entrare solo per via ereditaria, avendo un padre “fritolero”. Questa regola permise alla corporazione di sopravvivere fino alla fine della Repubblica nel XIX secolo.
Le frittelle non prendono il nome dai loro ingredienti, ma solo per il fatto di essere fritte. Un antico proverbio assicura che “tutto ciò che si frigge è buono da magiare” e già i primi libri di cucina redatti in Italia, risalenti al medioevo, distinguono le frittelle in “quaresimali” e “non quaresimali”. Le prime sono quelle fritte nell’olio, grasso tipico dei giorni di magro, in cui tutti i prodotti animali sono banditi; le seconde sono quelle fritte nel lardo, grasso tipico dei giorni ordinari. In ogni caso, che si tratti di olio oppure di lardo, l’importante è che sia abbondante. Solo in questo modo la frittella verrà croccante e gustosa e, paradossalmente, meno unta. Com’è ben noto, se la si immerge completamente nel grasso i tempi di cottura si riducono e con essi la quantità di grasso assorbito.
Il più noto cuoco italiano del Quattrocento, Maestro Martino, dedica alle frittelle un intero capitolo del suo manuale sull’arte culinaria, spiegando in dettaglio come fare ogni tipo di frittella: coi fiori di sambuco, con l’albume e formaggio fresco, col latte cagliato, col riso, con la salvia, con le mele, con le foglie d’alloro, con le mandorle e con tutte le varianti per i giorni di grasso e per quelli di magro. Insomma, che fosse Carnevale o Quaresima, venerdì o altro giorno, caldo oppure freddo, si è sempre trovato il modo di preparare e mangiare frittelle.
Il fritto non conosce stagioni, accompagna ogni clima e ogni tempo, sociale o liturgico. Ed è proprio dalle quattro “tempora” della liturgia cristiana, periodi di astinenza, preghiera e riflessione, che prese il nome un particolare tipo di fritto, la tempura, che dall’occidente d’Europa giunse fino al Giappone.
Il gusto del fritto e della frittella è stato, ed è, ogni volta diverso, caratterizzato dagli ingredienti dell’impasto e dal tipo di grasso usato per la cottura, al di là delle motivazioni religiose, tecniche o di gusto che determinano delle scelte. Come ebbe a scrivere Pellegrino Artusi nella sua celeberrima “Scienza in cucina”, “ogni popolo usa per friggere quell’unto che si produce migliore nel proprio paese. In Toscana si dà la preferenza all’olio, in Lombardia al burro e nell’Emila al lardo”.
Eccoci quindi in quel periodo dell’anno in cui mangiare dolci fritti non produce sensi di colpa. E poi, diciamoci la verità: che Carnevale sarebbe senza frittelle? Una frittella è un piacere per tutti i sensi. Il suo profumo invita al boccone. Il colore ben rosolato dà gioia all’occhio. Lo scricchiolio della crosta allieta l’orecchio. Non manca poi il piacere tattile del portarla alla bocca.
Buon Carnevale e a risentirci la settimana prossima!
@Convivium_RB