Programma ideato e condotto da Alberto Lorenzini
In onda tutte le sere alle 20e15 - 22e15 - 00e15
1. SKIANTOS "Eptadone"
2. SKIANTOS "Pesto duro (I kunt get no satisfaction)"
3. SKIANTOS "Io sono uno skianto"
4. SKIANTOS "Io ti amo da matti (Sesso e Karnazza)"
5. SKIANTOS "Vortice"
Prima che diventasse paranoica nelle parole icastiche e dolenti di Giovanni Lindo Ferretti, esistevano altre versioni di quella regione, l’Emilia Romagna, che ha dato i natali a tanti protagonisti, sia di primissimo piano che di infimo livello, della musica italiana. Una delle versioni più mitiche dell’Emilia Romagna l’aveva fornita proprio il “mitico” 1977, che vedeva Bologna al centro di fermenti culturali stimolanti, ma anche di congiunture politico-sociali animose e belligeranti: occupazioni di edifici universitari e discese in piazza non sempre pacifiche avevano portato a scontri tra facinorosi manifestanti di sinistra e forze dell’ordine con licenza di sparare. Erano anni di terrorismo e di morte dei quali Bologna non era soltanto l’epicentro organizzativo (i movimenti studenteschi e le radio libere) ma, da lì a qualche anno, ne sarebbe diventata anche l’apice luttuoso (la strage del 2 agosto 1980 alla stazione centrale).
Fu proprio a Bologna, in quella Bologna, che gli Skiantos si formarono culturalmente. Tale contesto avrebbe potuto fare di loro una delle tante band proletarie dell’epoca o di Freak Antoni, anima del gruppo, l’ennesimo cantautore impegnato e politicamente schierato. Sia lodata la divina provvidenza del rock che scongiurò per loro epiloghi così tristi. Gli Skiantos avevano ben altro nelle loro teste: il nulla contenutistico, la pochezza espressiva, la strafottenza verso i problemi della collettività e del singolo. Nel cervello gli Skiantos avevano il vuoto, ed era tutto ciò che occorreva per rivoluzionare la musica italiana. Importarono in Italia il rock demenziale, riallacciandosi a una corrente non-sensical tutta americana (da Frank Zappa ai Devo), sospinti dall’esplosione del punk inglese. Prima degli Skiantos, nella canzone italiana di demenziale c’erano stati solo i turpiloqui perversi (e pervertiti) degli Squallor, che, seppur esilaranti (talvolta anche da un punto di vista squisitamente compositivo), è giusto però considerare non più di una sfiziosa curiosità. Gli Skiantos, invece, furono proprio un gruppo di rottura capace di spazzar via in un solo colpo le velleità “auliche” di certo glorioso progressive nostrano (genere che gli Skiantos pure apprezzavano dato che il loro terzo album “Kinotto” sarà prodotto da una leggenda del prog italico come Paolo Tofani), la bolsa tradizione del bel canto sanremese e la tediosità altezzosa di una scena cantautorale che non di rado si faceva didascalica, moralista o militante.
Freak Antoni, Dandy Bestia, Jimmy Bellafronte, Sbarbo, Frankie Grossolani, Andy Bellombrosa, Leo Tormento Pestoduro; questi i nomi dei componenti della band. Nomi assurdi, ridicoli: i soli che avrebbero potuto firmare una canzone d'(anti)amore con un incipit del genere “Io ti amo da matti/ Se mi vuoi ti lavo i piatti/ Ti regalo anche due gatti/ Dai, facciamo quattro scatti” (“Io ti amo da matti”), o che avrebbero potuto intessere una sognante serenata rock e sputarci poi sopra abbai molesti (“Bau, Bau Baby”). Il gioco al massacro del romanticismo continua in “Vortice”, che inizia con una melodia alla Battisti (sperando che per l’accostamento la buon’anima di Poggio Bustone non si stia rivoltando nella tomba) e si trasforma in un rock’n’roll indemoniato, mentre il protagonista della canzone affonda i propri sensi nel vortice dell’alito pestilenziale dell’amata.
Sul versante socio-politico c’è ancora da spassarsela con le dichiarazioni della band di voler vendere i propri voti, sette in tutto, al partito che offre di più: “Noi non vendiamo il culo, noi vendiamo quel che capita. Vendiamo ben di più: il nostro voto, al quale eravamo tanto affezionati per questioni di affetto democratico”. Una dichiarazione del genere vale più di mille canzoni sulla rivoluzione e sulle contingenze politiche dell’epoca e di ogni epoca: il genio degli Skiantos è stato quello di aver contrapposto la farsa dell’arte alle varie farse del mondo, tra cui quella della politica, che in Italia è sempre stata la farsa delle farse. Vanno quindi inquadrati in tale prospettiva gli spettacoli live, di ispirazione polemica futurista e dai risvolti anti-artistici dadaisti, durante i quali la band lanciava verdure al pubblico proclamando “Fate largo all’avanguardia/ Siete un pubblico di merda/ Applaudite per inerzia”, versi tratti da “Largo all’avanguardia”, il pezzo new wave del disco (ritmica degna del funk-punk più robotico e debosciato col tocco straniante di un sax stridulo), che lo stesso Antoni considera un cocktail di Freak + Petrolini + Marinetti.
Uno dei due inni del disco è “Io sono uno skianto”, punk-rock finto-machista e davvero puerile; l’altro è “Eptadone”, che, prima di esordire con le sue chitarre annichilenti e il suo ritmo furioso, lascia la scena a un dialogo accelerato che nel contempo esalta e dileggia il gergo dei giovani bolognesi dell’epoca: “Sono in para dura!”, “Ehi sbarbo smolla la biga che slumiamo le tele”, “Ma che viaggio ti fai?”. Praticamente, gli Skiantos redigono un bignami delle consuetudini gergali e dialettali dell’epoca, relative ovviamente al loro contesto geografico, anticipando anche quell’abitudine, oggigiorno odiosa ma allora linguisticamente anti-convenzionale, di sostituire la lettera “K” in luogo della “C” e del gruppo consonantico “CH” (kultura, kartone inteso come “pugno”, skianto ecc.).
Dunque, “MONOtono”, secondo album della band dopo l’esordio più sperimentale di “Inascoltable”, portò nel mondo del rock italiano una ventata di freschezza e di creatività a cui non furono indifferenti artisti più o meno apprezzabili, come Vasco Rossi e gli Elio e le Storie Tese, e persino cantautori dal curriculum discutibile, come Luca Carboni. In particolare Vasco, nella sua prima parte di carriera, fu effettivamente influenzato dalla sfrontatezza con cui gli Skiantos avevano rivoltato i temi tradizionali della canzone d’amore e dei problemi giovanili (“Va bè se proprio te lo devo dire”, “Fegato, fegato spappolato”, “Deviazioni”), ma ben presto abbandonò quel piglio demenziale diventando fin troppo “intelligente”, soprattutto nel plasmare le opinioni dei propri fan e nell’organizzare a tavolino operazioni promozionali che i maggiori media informativi accetteranno acriticamente come capolavori ed eventi imperdibili, sempre in nome della fantomatica genuinità del loro creatore.
Gli Skiantos, invece, pur avendo calcato quegli stessi palcoscenici musicali e televisivi di cui Vasco oggi è idolo, non sono mai venuti meno al loro assioma, tra l’altro perfettamente confermato dai piccoli e grandi eventi che investono il nostro Paese, secondo cui in Italia non c’è gusto ad essere intelligenti. La demenza è salvezza: viva le caccole di saggezza!
di Salvatore Setola