Le piccole storie di Maria Vittoria Grassi
C’era una volta un principe di nome Nonhounnomefisso, che tutti chiamavano confidenzialmente Fisso.
Per la verità il suo vero nome era Ottone 963, perché così era tradizione nella sua famiglia, dove tutti i maschi si chiamavano Ottone, ma sua madre, la regina Maniglia 712 (inutile dire che tutte le ragazze della sua famiglia si chiamavano così), odiava la frase Maniglia di Ottone – che tutti sussurravano al suo passaggio – e così aveva proibito a chiunque di chiamare il figlio col suo nome di battesimo.
Fisso era un bellissimo principe: alto, snello, bruno, con le gambe sottili e diritte che risaltavano nella calzamaglia e begli occhi espressivi e gentili ma… Certo, c’era un ma: parlava come un libro stampato nell’ottocento.
Siccome infatti, fin da piccolo, i suoi regali genitori gli avevano affiancato solo compitissimi insegnanti la cui età media non scendeva sotto gli 80 anni, il vocabolario e la sintassi del principe erano, come dire, un po’ antiquati.
Ora, finché chiamando il cameriere diceva: “Ohibò, mio ciambellano appropinquami il bacile”, il cameriere si limitava ad alzare gli occhi al cielo e a portargli un catino, ma quando si rivolgeva a un suddito dicendogli: “Mio indigeno, qual nuova mi arrechi?” il suddito veniva preso da confusione e rabbia, tanto che un giorno Fisso fu inseguito da un contadino armato di vanga per tutto il castello e solo l’intervento di robusti armigeri riuscì a salvarlo.
Un brutto giorno il padre di Fisso, all’età di 102 anni, morì, compianto da tutti, benché la regina Maniglia, si seccasse sempre di più per il fatto che, al suo passaggio, ora tutti sussurrassero: “Quella è la vedova Maniglia di Ottone!”.
Comunque, dopo la morte del padre, Fisso divenne Re e dovette assumersi molte responsabilità, tra cui quella di cercarsi una moglie.
Si emise il solito Bando di Corte e cominciarono ad arrivare le richieste e le candidate.
La Commissione riunita – di cui faceva parte anche Maniglia, naturalmente – esaminò e scartò, esaminò e scartò…
Furono eliminate tutte le candidate dai nomi impegnativi: la principessa Candeggina (così splendente!), la contessina Brillantina (che pure aveva un sorriso incantevole!), la marchesina de Vetril (un po’ troppo magra, quasi trasparente), la duchessa Birraspina (pare che bevesse un po’ troppo!). Poi si eliminarono tutte le pretendenti non laureate, che non comprendevano assolutamente che cosa dicesse il principe. Infine si congedarono le aspiranti con difetti estetici inadatti ad una principessa, almeno secondo Maniglia, che aveva un suo detto per ogni caso: “Naso a becco, marito in secco!”, oppure “Mento appuntito, principe tradito!”, e ancora “Gamba rotonda, voci di fronda!” e così via ….
Alla fine la Commissione, i cui componenti maschili si erano visti demolire via via, secondo i parametri di Maniglia, anche le loro mogli, sbatté la porta e se ne andò, lasciando Maniglia e il povero Fisso ad arrangiarsi da soli.
Passarono gli anni. Maniglia ne aveva ormai 88, e Fisso, ancora celibe, più di quaranta….
Ogni giorno madre e figlio leggevano il giornale, sospirando, cercando tra gli annunci matrimoniali, (e sempre, ahimè, invano), qualche buona occasione.
Finché un mattino Fisso lesse una notizia di cronaca molto curiosa che lo solleticò.
Nella stanza più alta di una torre, in un castello neanche tanto lontano dal suo, era stata trovata – e liberata – una principessa, segregata per vent’anni da un padre tirannico e, per fortuna, improvvisamente stroncato dalla fatica di dover salire ogni giorno sulla torre (822 gradini) a portare cibo e libri alla figlia.
Sì perché la poverina, che si chiamava Chimaimihavisto (e tutti chiamavano Chima), nella sua vita di reclusa non aveva fatto che leggere e leggere ogni sorta di libri. Nessuno dei familiari o dei sudditi l’aveva mai più vista dall’età di dodici anni, quando suo padre Pomolo, per timore che la figlia si sposasse e il genero gli portasse via il regno, l’aveva segregata nella torre.
La notizia riportata dal giornale era non solo che Chima era stata liberata ma che aveva accolto i suoi liberatori con un “Affè mia, alfin è giunta l’alba del riscatto! Grande tenzon, miei salvatori!”
Quel vecchio rimbambito di re Pomolo! – borbottò alla notizia la regina Maniglia – E pensare che aveva chiesto, a suo tempo la mia mano! Presuntuoso e arrogante, ha finito per sposare mia cugina Serratura, così sottile che le si vedeva attraverso, ma vuota, e di poco cervello, poveretta!”. Poi, di botto, madre e figlio si guardarono, colti dallo stesso pensiero.
“Quanti anni ha Chima?”, chiese Maniglia; “trentadue” rispose Fisso. “Dama antiquata sposa beata!” gridò subito Maniglia, e ancora: “Sposo tradivo sempre giulivo!”
Tutto quindi si risolse in un batter d’occhio. La principessa Chima, convocata a corte, si rivelò una ragazza gentile e gradevole, se non bellissima “Chi è troppo bello guarda all’orpello!” aveva sentenziato Maniglia, e, soprattutto, dotata di grande cultura (ascoltava incantata il linguaggio di Fisso e rispondeva persino a tono!).
Le nozze furono celebrate senza troppa pompa ma con soddisfazione di tutti. E gli eredi? Ci furono, ci furono: Pomolo secondo, Maniglia713, Ottone 964 e Catenaccio primo, che diede avvio ad un ramo cadetto e sanguinario. Ma questa sarebbe un’altra storia!…
Un caro saluto da Vittoria e… alla prossima!