Le Orme
“Collage”, 1971 (Philips)
Rock progressivo
di Paolo Pisi
Dopo essersi fatti conoscere ai tempi del beat, Le Orme sopravvivono all’estinzione di tutti i gruppi coetanei che incidevano solo cover, proprio perché il loro repertorio era composto da brani originali (anzi, si erano permessi il lusso di fare versioni inglesi delle loro canzoni, delle “controcover” potremmo definirle).
Già… con l’arrivo dei gruppi stranieri, nessuno più voleva le copie in italiano dei successi dell’epoca e si salvarono solo quelle band che potevano contare sulle loro forze: Nomadi, New Trolls, Equipe 84, Camaleonti, Dik Dik e, appunto, Le Orme.
Dopo il beat di “Ad Gloriam” del 1969, loro disco d’esordio, Le Orme decisero di cambiare totalmente genere e, sull’onda del nuovo pop internazionale che stava nascendo in quegli anni, diedero vita a quello che è riconosciuto come il primo disco classificabile come “prog” in Italia, genere che caratterizzerà tutto il decennio con punte di eccellenza anche internazionale e decine di gruppi con meno fortuna dal punto di vista discografico ma di notevole livello.
Alle Orme è legato un mio particolare ricordo personale: se i miei primi concerti erano state un paio di esibizioni dei Nomadi ai tempi della “Sagra dla piaséta”, nella prima metà degli anni 70 (i miei genitori dicono di avermi portato a sentire Gilbert Becaud quando avevo due anni, ma onestamente non me lo ricordo), il mio primo concerto in un locale fu proprio quello delle Orme, credo nel 1977/78, al mitico “El Patio Club” di Marmirolo grazie a un biglietto vinto a un quiz radiofonico, messo in palio da una delle prime radio libere di Mantova (e RadioBase era fra queste).
Le Orme le ho poi sentite più volte, l’ultima alla loro prima del loro ultimo disco, “Sulle ali di un sogno” a Castellucchio, due anni fa. C’è rimasto solo Michi Dei Rossi, ma va bene anche così.