Pink Floyd
“The piper at the gates of dawn”, 1967 (Columbia / EMI)
Rock psichedelico
di Paolo Pisi
Primo LP dei Pink Floyd, quelli senza David Gilmour ma con Syd Barrett, il “diamante pazzo” che ha creato, denominato e indirizzato la band su sentieri che nessuno aveva percorso prima.
Prima di questo disco, i Pink Floyd avevano inciso solo qualche singolo e nessuno finì nella track-list del 33.
Il titolo (letteralmente “Il pifferaio alle porte dell’alba”) contiene già in nuce il progetto visionario e allucinatorio di Barrett, autore esclusivo di 8 e coautore di 2 delle 11 tracce del disco, con due “lunghe” saghe come “Astronomy Domine” e “Interstellar overdrive”.Barrett si autoescluderà presto dalla band (già il secondo lavoro contiene una sola traccia composta da lui e inciderà due album solisti negli anni successivi).I Pink Floyd invece decollarono verso l’immortalità musicale, ma il loro Cape Canaveral è “The piper at the gates of dawn”.
Come esperienza personale resta indelebile il ricordo del secondo concerto della mia scalcinata band, nel lontano 1989 alla Festa Provinciale dell’Unità sul Te, quando quattro ragazzi impertinenti e presuntuosi infilarono una goffa esecuzione di “Echoes” messa come medley di coda a “Era inverno” delle Orme in una scaletta che prevedeva anche “Ragazzo di strada”, “Stai lontana da me”, “Una bambolina che fa no, no, no” e “Cuore matto”.
Ah, eravamo all’avanguardia… troppo avanti!