Frank Zappa
“Sheik Yerbouty”, 1979 (CBS)
Rock
di Fabrizio Malvezzi
Ho avuto la fortuna di poter assistere a 4 suoi concerti durante i tour italiani del 1982 (Torino e Bologna), 1984 (padova) e 1988 (Modena). In occasione del primo, il 2 luglio 1982 allo stadio comunale di Torino, ho avuto anche l’opportunità di stringergli la mano ottenendo il permesso di poter scattare qualche foto (che custodisco gelosamente) durante il soundcheck.
Mi riferisco ad uno dei geni della musica del secolo scorso: Frank Zappa.
Della sua sterminata discografia penso di possedere tutti i vinili/cd (oltre un centinaio).
Avevo letto molto di lui, della sua maniacale precisione nel comporre/eseguire i suoi brani in studio e ancor più dal vivo. Pensavo fossero esagerazioni giornalistiche. Mi sbagliavo.
Assistere alle prove del pomeriggio è stata un’esperienze che mi rimarrà nella memoria a vita. Non era solo un ottimo chitarrista e narratore/cantante ma, soprattutto, uno straordinario direttore d’orchestra. Per i suoi tour preparava un elenco infinito di brani (oltre 50) riservandosi di decidere solo durante il soundcheck quali sarebbero stati i pezzi da eseguire durante quella sera. In questo modo ogni concerto non era mai uguale a quello della data precedente.
Di lui è stato scritto tanto, forse troppo. Sicuramente non un esempio nella vita privata, ma un vero e proprio genio nella composizione musicale.
Il lavoro che ho scelto di proporre come “pietra miliare” non fa parte di quelli più blasonati (Hot Rats, Freak out!, Absolutely Free, ….). Ho voluto scegliere un disco che, a mio giudizio, è adatto a chi si vuole avvicinare al pianeta Zappa: “Sheik Yerbouti”.
Doppio album pubblicato nel 1979 (in quell’anno Zappa fece uscire 4 album…) probabilmente il disco di maggior successo commerciale ma non per questo meno valido, vincitore di un Grammy Awards.
In questo disco Zappa non manca di prendere per il c… parte del mondo discografico di quel periodo, soprattutto il mondo della dance (il titolo non a caso richiama un brano di successo dell’epoca della KC & The Sunshine Band “Shake your booty”), ma non risparmia neppure artisti del calibro di Bob Dylan e Peter Frampton. Come spesso accade nei suoi testi anche la società americana non viene trascurata; basta ascoltare e tradurre “Bobby Brown” per rendersene conto.
Come sempre la band che lo accompagna è di primissimo ordine; segnalo due nomi a caso: Adrian Belew alla chitarra e Terry Bozzio alla batteria…
Ascoltatelo (o riascoltatelo). Ne vale la pena.