Paola Govoni; Donne e Scienza in Italia

Paola Govoni; Donne e Scienza in Italia

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PAOLA GOVONI-DONNE E SCIENZA IN ITALIA                  Rapporti controversi

Sara, Stefania e Valentina: la redazione di Mantovascienza 2021 è tutta al femminile. 2 aspiranti medici ed una laureata in Scienze Naturali: 3 ragazze che sfuggono alla statistica, che mostra come il 70% delle donne sceglie un percorso di studi non scientifico, poiché ancora influenzato dall’ingiusto luogo comune secondo il quale le persone con doppio cromosoma x non sono portate per certi studi. Fortunatamente però esiste un 30%, a cui noi apparteniamo, che ha deciso di dimostrare il contrario e ha potuto farlo grazie a scienziate come Evangelina Bottero e Carolina Magistrelli, tra le prime a spezzare il muro invisibile tra Scienza e Donne. Paola Govoni, filosofa interessata alla Storia della Scienza e al suo intreccio con riflessioni sociali ed educative, ha permesso di riportare alla memoria la storia personale e professionale di queste due naturaliste, che si sono distinte anche per l’abile capacità divulgativa dimostrata nel saggio Il telefono, in un’epoca in cui la divulgazione scientifica stava muovendo i primi passi e in uno Stato che anche attualmente fatica a dare spazio a questo ambito. Sempre le donne, escluse dalla comunità scientifica, si sono quindi poste per prime e forse paradossalmente il problema di rendere il “pubblico per la scienza” più inclusivo.

Professoressa Govoni, sono numerosi i casi nella storia della scienza in cui la credibilità delle scienziate è stata minata attraverso critiche relative alla vita privata e non agli oggettivi risultati scientifici, come avvenuto ad esempio con Rachel Carson. Perché ad una donna non basta essere competente per emergere in ambito scientifico? Quali consigli darebbe ad una ragazza intenzionata a lavorare in ambito scientifico alla luce di quanto sottolineato?                                                                    Grazie Valentina. Buongiorno a tutte e tutti coloro che ci stanno ascoltando. Sì, come diceva Valentina io mi occupo di storia della scienza e ho questi interessi sull’interazione tra scienza e società. Si tratta di temi che sconfinano facilmente con questioni filosofiche.  Sono numerosissimi i casi di donne che sono state, come dice lei Valentina, criticate e attaccate, anche molto duramente, e il caso di Rachel Carson è molto noto; Rachel Carson fu addirittura accusata di essere la responsabile della morte di popolazioni colpite dalla malaria dopo che i suoi studi avevano condotto al divieto d’utilizzo del DDT. Marie Curie, rimasta vedova, ebbe una storia con Langevin, un fisico francese, e per questo fu attaccata molto duramente; ciò non accadeva ai colleghi uomini quando vivevano esperienze analoghe. È sempre difficile però generalizzare, nel senso che anche molti uomini sono stati attaccati e criticati su questioni personali. Detto questo, è vero che ormai abbiamo dati anche quantitativi e di lungo, lunghissimo periodo, che ci dicono che questo che Valentina ha esposto non è un luogo comune: la parte femminile della popolazione si dedica di più alle scienze sociali e alle scienze umane rispetto alle scienze naturali o fisiche, come raccontavo ieri (sabato 13) nella conferenza che ho tenuto per MantovaScienza. Colgo l’occasione per dire che mi sembra un’iniziativa molto interessante, che promuove lo scambio tra esperti ed esperte che lavorano in settori diversi e di età diverse, coinvolgendo anche studenti di vario grado; utilissimo, in questo contesto, confrontarsi su temi che vedono entrare in azione i nostri valori condivisi, come il concetto di inclusione, o che cosa intendiamo con femminile e maschile. Ritornando al tema principale, ritengo che la ridotta presenza femminile nei settori scientifici sia dovuta a pregiudizi, luoghi comuni: veramente molta gente ha creduto, e crede tuttora, che il cervello delle donne funzioni in modo diverso rispetto a quello degli uomini. Può sembrare assurdo ma è ancora così. D’altro canto ci sono anche stati moltissimi uomini che, per opportunismo, hanno sostenuto questi pregiudizi, con l’unico obiettivo di rilegare le donne alla cura della casa e della famiglia, così da potersi dedicare liberamente alla professione. Ci sono però anche ragioni molto più ciniche: una di queste, molto forte negli anni in cui Bottero e Magistrelli hanno avuto successo, è la competitività e quindi l’intenzionale operazione di escludere un nuovo attore sociale dinamico, pieno di energia e determinato a scalzare gli uomini da ruoli di prestigio ottenuti unicamente per diritto generazionale. Tra le complesse ragioni di esclusione delle donne dal mondo lavorativo si elenca certamente anche una minore capacità delle donne stesse di fare rete, spesso per ragioni banali: non c’è l’abitudine di sostenersi a vicenda così da resistere in contesti fortemente competitivi come possono essere quelli della ricerca scientifica-tecnologica. Consigli: leggete giornali di economia, finanza e industria, realtà che ha riconosciuto sicuramente prima del mondo universitario che le donne sono una forza straordinaria in termini di innovazioni e capacità. Su questa stampa si trovano moltissime informazioni sul ruolo delle donne in azienda, sui corsi che vengono organizzati all’università proprio per imparare ad essere manager di se stesse, per imparare come gestire la propria carriera, come fare le proprie scelte. L’altro mio consiglio è quello di trascorrere un periodo all’estero, in un Paese dove si dedica alle donne un’attenzione particolare, ad esempio con progetti di pari opportunità, e trarre insegnamenti da applicare dopo un eventuale rientro in Italia. I Paesi Scandinavi, l’Olanda e gli Stati Uniti rappresentano degli ottimi esempi.

Lei è laureata in filosofia ma si occupa di scienza, mostrando come non ci siano barriere tra sapere umanistico e scientifico, concetto che, come spesso ha sostenuto, dovrebbe essere trasmesso già a scuola. Quali temi interdisciplinari dimostrano lo stretto legame tra questi due aspetti della cultura?             Questo mi sta molto a cuore; qualsiasi tema è interdisciplinare. La retorica delle due culture, amplificata durante la Guerra Fredda, è stata costruita artificialmente e poi si è trasformata in organizzazione istituzionale. L’università in Italia, ad esempio, ha organizzato i suoi saperi in 383 settori scientifico-disciplinari. Questa dicotomia dovrebbe essere smentita dalla didattica mentre a scuola ancora tutto il sapere è organizzato non per temi, sui quali ogni docente prepara dei progetti, ma per materie; il mondo, al contrario, non è affatto organizzato in discipline separate, la natura e la società umana non lo sono. Per capire problemi complessi, come l’Alzheimer, la crisi climatica, le neuroscienze, l’intelligenza artificiale, è necessaria l’interazione tra settori diversi. L’Alzheimer potrebbe essere, ad esempio, di origine contestuale, biologica, o derivare da un’interazione di queste due dimensioni; la crisi climatica è un classico tema di interazione tra natura, tecnologia e società umane. C’è un fortissimo ritorno, soprattutto in altri Paesi, a questi approcci che un tempo venivano chiamati interdisciplinari mentre l’Italia è in ritardo; sta a voi giovani.

In molte occasioni ha sottolineato lo scollamento tra scienza e società. Ciò si deve probabilmente al tecnicismo lessicale e alla ridotta capacità comunicativa degli accademici, che rendono non apprezzabile un contenuto che al contrario merita attenzione. Chi invece veicola fake news o notizie rassicuranti con pericolose abilità comunicative ottiene un maggior successo nonostante i contenuti siano poveri o errati. In altri Paesi la situazione è diversa. Quali sono le principali differenze tra l’Italia e gli Stati dove la scienza ha un pubblico molto più ampio?        Sicuramente ci sono Paesi dove la formazione media della popolazione è migliore della nostra: l’Italia è penultima, in Europa, per quantità di laureati di primo livello, migliore solo rispetto alla Romania. Inoltre in Italia c’è anche il problema della poca dimestichezza con l’inglese e Internet parla inglese quindi l’accesso alle notizie scientifiche è ridotto. Il problema delle fake news, però, colpisce molto duramente ovunque, come dimostrato dai fatti accaduti negli Stati Uniti sul tema dei vaccini. Quindi ai tempi di Internet le fake news sono un problema globale. Certamente nella scuola italiana si aggiunge un altro elemento critico: non si approfondiscono abbastanza le scienze naturali e soprattutto non si trattano in un’ottica che includa le scienze sociali e un po’ di storia, che ci aiuterebbe a vedere che queste cosiddette fake news hanno radici antiche. Pensiamo, per esempio, al fenomeno del razzismo e a come sia stato sostenuto da una letteratura divulgativa che continuava a proporre e riproporre luoghi comuni, falsità su persone appartenenti ad alcuni gruppi culturali. Adesso il problema è la velocità con la quale queste pessime notizie si propagano, si moltiplicano, questa è la grande differenza con il passato. In Italia poi scontiamo decenni di scarsa dimestichezza con le scienze sociali: a scuola non si impara a misurare i fenomeni culturali e sociali. Le filosofie pragmatiche, come quella formulata da Dewey, che altrove sono state applicate a scuola per mezzo di progetti di educazione scientifica, in Italia non si sono diffuse, non c’è il concetto che anche la cultura può essere quantificata e studiata come un fenomeno naturale.

La ringrazio per le sue risposte molto complete e stimolanti e per il tempo che ci ha dedicato.

[Valentina Vitali]

 

 

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