Miles Davis
“Tutu”, 1986 (Warneer Bros Records)
Jazz, Fusion
di Luca Petruzziello
Fin troppo facile definire Miles Davis un monumento della musica; capolavori senza tempo…da “Kind of blue” a “Bitches brew”(uno dei manifesti della nascente fusion) basterebbo a raccontare di quale pasta sia fatto il trombettista che ha attraversato, sino alle soglie del ventunesimo secolo, tutta la storia della musica jazz!?!
Dagli inizi “ribelli” nelle big band, abbracciando il movimento be-bop sino alle collaborazioni finali ( da Marcus Miller a Pat Metheny), la vita dell’artista di cui parliamo si fonde con l’evoluzione musicale del ‘900.
La pietra miliare “Tutu” rappresenta l’inizio dell’atto finale della sua carriera, circondandosi di musicisti del momento, da Hakim alla batteria a Marcus Miller al basso, Davis racconta il cambio di rotta della musica, che volge lo sguardo futuro al classico nonostante si sia in piena era “elettronica”.
La produzione è affidata alla sapienza di Tommy LiPuma ed all’astro nascente Marcus Miller (in questo lavoro: produttore, bassista ed autore di quasi tutti i brani), che dopo pochi anni dedicherà a Miles un brano enl suo album di esordio “The sun don’t lie”!
Si parte con “Tutu”, giusto per chiarire di cosa stiamo parlando; il basso elettrico di Miller gattona mentre Davis sin dall’inzio sviluppa il tema che ci terrà incollati all’ascolto.
“Tomaas” si snoda in un mix di decenni: dai ’70 ai profondi 80′ con Miles che avanza, quasi disinteressato dalle epoche, tra piccoli accenni di libertà e direzioni sul tema.
Siamo a “Portia”, dove la tromba prende lo stage in maniera totale; la luce è solo su di lui, tutti gli altri suonano ad esaltare il momento di adorazione musicale.
Torniamo nella metropoli con “Splatch”, dove i suoni si fondono su di un tema unico lasciando a Miles il dovere di raccontare la storia!
“Backyard Ritual” ci inganna, con la sua intro che sembra volgere lo sguardo ad un brano intimo e senza tempo; ma il basso di Miller ci catapulta subito su ritmiche urbane, dove possono riecheggiare tranquillamente grida di protesta che tornano alle radici dei primi anni ’70.
Il brano è firmato da George Duke, uno che di sicuro conosce come scuoterci!
Il brano successivo è l’omaggio al pop, e non solo, che Davis offre; “The perfect way” degli Scritti Politti segue infatti i precedenti “Human nature” e “Time after time” presenti nel lavoro: “You’re under arrest”.
Chiudono l’album la reggheggiante “Don’t lose your mind” e “Full nelson”, dove Miles ci saluta divertendosi su di un tema che a tratti mi ricorda i mitici “Was not was”, non me ne vogliano i “puristi”.
I tempi del jazz modale saranno anche lontani anagraficamente, ma quando Davis incrocia le note della sua tromba non si può che restare estasiati; potrà anche non spiegarle dopo averle suonate…a noi miseri mortali basta soltanto averle potute ascoltare!
Buona musica a tutti!