Le piccole storie di Maria Vittoria Grassi
Questo è il seguito della storia del principe miope.
Era quel principe, soprannominato significativamente Talpa dai suoi sudditi, che non voleva portare gli occhiali nonostante fosse incredibilmente miope e, per questa sua mania, ne combinasse di tutti i colori.
Era anche un principe molto brutto d’aspetto ma riusciva in qualche modo simpatico, nonostante baciasse il bracciolo del trono al posto della mano della regina sua madre e si asciugasse la bocca con la manica del suo vicino di tavola anziché col tovagliolo.
Alla fine, comunque, anche Talpa era diventato re e aveva trovato una moglie, la regina Occhiodaquila, donna gradevole ma puntigliosa e con una vista così acuta che doveva portare gli occhiali da sole perennemente per non trafiggere le cose e le persone che osservava. E il suo difetto era spesso comunque abbastanza seccante.
“Vedo un granello di polvere sul merlo numero 118 della torre di sinistra!” diceva al maggiordomo “Qualcuno ha battuto la fiacca questa settimana, eh?!” Oppure Occhiodaquila si piazzava sul balcone e annotava minuziosamente tutte le più piccole malefatte dei suoi sudditi nell’arco di 40 chilometri … Una vera rottura, perché non le sfuggiva niente e non risparmiava nessuno. I due sovrani avevano una sola figlia, la principessa Diottria, che da un occhio praticamente non ci vedeva e dall’altro ci vedeva troppo.
Alla poveretta questo difetto causava non pochi problemi perché se sul lato sinistro sbatteva contro le porte, sul lato destro infilzava come su un puntaspilli cose e persone a cui rivolgesse lo sguardo. Per questo tutti si erano abituati, a corte, a scivolarle e a sedersi vicino a lei solo da sinistra, creando costantemente un vuoto dall’altra parte.
Il problema era che le damigelle e i maggiordomi passavano buona parte del tempo a rammendare tende bucate, a incollare con lo scotch libri e fogli traforati, a telefonare al vetraio par far riparare i vetri delle finestre e, soprattutto, a disinfettare e incerottare gli ignari malcapitati che, senza sapere nulla, si collocavano sul lato destro della principessa.
Alla fine l’infelice Diottria si decise a portare degli occhiali speciali, con una lente schermata (a destra), e un’altra da miope a sinistra. Non era un gran bel vedere perché la ragazza, tra l’altro, aveva preso dal padre quanto all’aspetto: capelli rossi e crespi, naso a patata, mento appuntito, piedi lunghi.
Tuttavia aveva anche ereditato da lui un buon carattere e una certa dose di autoironia. Per questo, quando si trattò di scegliersi un marito, cominciò a sfruttare a suo favore le situazioni: se il pretendente non le piaceva si levava la lente protettiva e lo guardava a lungo finché quello, trapassato da decine di piccole punture, infilava la porta e correva a casa a farsi medicare.
Se invece il pretendente le piaceva lo intratteneva volentieri per verificare se le andasse bene come marito. …. Alla fine, messa alle strette, Diottria dovette scegliere fra i pochi pretendenti rimasti.
Il primo, il principe Dolciastro, si rivelò piacevole ma eccessivamente gentile. “Troppi complimenti – tagliò corto Diottria – conosco i miei difetti!”.
Il secondo, il principe Impettito fu liquidato presto. “Non voglio sposare un baccalà!” lo congedò la ragazza senza troppi scrupoli.
Il terzo e ultimo pretendente era un giovane di bell’aspetto, vestito alla buona, anzi un po’ troppo vestito. Diottria, diffidente, chiacchierò un po’ e infine, per metterlo alla prova, si levò la sua lente protettiva. Il ragazzo, che si chiamava Baldo, non fece una piega, anzi le fece i complimenti per il bel colore dei suoi occhi.
Diottria, stupitissima, apprezzò… “Vede, principessa, – chiarì Baldo – non dovrebbe sempre nascondere il suo sguardo, così come io non mi vergogno di portare sempre una tuta protettiva. Sono un apicultore e anche se qualche puntura fa parte del mestiere, preferisco proteggermi comunque”.
C’è bisogno di concludere? I due convolarono a giuste nozze e se in seguito si punzecchiarono a vicenda la storia non lo riporta.
Un caro saluto a tutti da Vittoria.
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