Forse il senatore romano Caio Tito non aveva proprio ragione quando ha detto verba volant scripta manent, formulando così uno dei proverbi ancora tra i più usati. A manent cioè rimanere davvero, ad imprimersi nella memoria anche involontariamente, sono soprattutto le immagini, capaci di comunicare significati ed emozioni in modo molto più immediato rispetto alle parole o peggio ancora alle astruse formule matematiche o fisiche, che invece mediano così tanto ciò che vogliono dire da allontanare chi le legge dal loro reale contenuto. Già Aristotele aveva compreso che a qualsiasi cosa si pensi, da un passo della Divina Commedia alla cena che si vuole consumare, nella mente si forma un’immagine, per quanto l’oggetto del pensiero sia astratto. Per questo le foto scattate dal missile atterrato nel deserto del New Messico nel ’46 e quelle delle missioni Apollo degli anni ’60 hanno cambiato per sempre le ricerche astronomiche, fissando su una pellicola ciò che fino a quel momento era stato solo immaginato. Delle immagini extra-terrestri più significative raccolte in questi decenni durante le varie missioni parleranno Filippo Bonaventura e Matteo Miluzio, astrofisici veterani ormai di Mantovascienza ed esperti divulgatori, che grazie al progetto Chi ha paura del Buio trasmettono tutto il fascino dello spazio che ci circonda
Dottor Miluzio e dottor Bonaventura, quali sono secondo voi gli scatti che più hanno segnato l’immaginario delle persone ma soprattutto che hanno fornito informazioni fondamentali per lo sviluppo delle ricerche astronomiche
Una domanda molto ampia e complessa. Se si guarda tutta la storia dei telescopi e delle esplorazioni spaziali ci sono migliaia, se non più, di immagini che hanno letteralmente fatto la storia dell’astronomia e hanno contribuito in modo importante al suo sviluppo. Naturalmente possiamo citare un sacco di foto per esempio del telescopio Hubble, che è stato una vera pietra miliare in campo astronomico, e più recentemente del telescopio James Webb, sempre della Nasa, che ha contribuito a fare un salto di qualità. Tra l’altro è una notizia abbastanza recente che il telescopio James Webb ha riprodotto i Pilastri della Creazione che già furono un target del telescopio Hubble nel ’95 e poi nel 2014. I Pilastri della Creazione sono un particolare della Nebulosa dell’Aquila e sono stati un oggetto storico per l’astronomia; Hubble ha proprio cambiato il modo in cui noi comuni mortali percepiamo gli oggetti astronomici e James Webb ha, con le sue potenzialità, rivisitato questo oggetto in modo moderno, migliorandolo. Naturalmente c’è un grande divario tra le due immagini che misura il salto generazionale che avviene tra i due telescopi.
Se si confrontano le fotografie appena leggibili scattate durante le prime missioni con quelle attuali, sorprendentemente definite, si comprende facilmente l’avanzamento tecnologico delle strumentazioni fotografiche montate sulle sonde. Quali sono i prossimi obiettivi?
C’è una serie di progetti tuttora in fase di costruzione. I prossimi passi fondamentali ma anche inaspettati non riguardano missioni spaziali ma soprattutto telescopi da terra. Ad esempio è già in fase avanzata di costruzione dell’ELT, l’Extremely Large Telescope dell’ESO, Ente europeo che gestisce i telescopi da terra nell’emisfero australe e soprattutto nel deserto di Atacama in Cile che è una delle zone del nostro globo più adatte all’osservazione astronomica perché, essendo uno dei deserti più aridi, non ha notti disturbate dalle nubi, ha pochissime precipitazioni ed è perfetto per l’osservazione astronomica. L’ ELT, che è un telescopio da quasi 40 metri di diametro, sarà uno dei prossimi strumenti che rivoluzionerà la comprensione del cosmo. Il futuro prossimo paradossalmente è più appannaggio dei telescopi da terra rispetto a quelli spaziali. Il James Webb sarà il futuro dello Spazio però a ricevere una spinta ulteriore sarà appunto l’osservazione del cosmo da terra, grazie a una nuova generazione di strumenti, di telescopi che vedranno la prima luce per l’ELT in teoria nel 2026, se tutti i lavori procederanno secondo le attese.
Il celebre astronauta Piers Sellers nel documentario Before the Flood racconta che si è veramente reso conto di quanto sia vulnerabile il nostro pianeta solo quando l’ha osservato dallo spazio. La Blue Marble e altre foto della Terra possono aiutare a comprendere come sia necessario attivarsi il prima possibile per ridurre l’impatto antropico e consentire alla vita di continuare ad esistere sul pianeta blu?
Sì, l’osservazione della Terra dall’alto è una conquista che ha cambiato per sempre il modo in cui noi esseri umani guardiamo alla nostra specie e alla nostra casa perché guardarci dall’alto ci fa capire qual è esattamente il nostro posto nel Cosmo e quali sono le misure da prendere per regolare la nostra presenza nell’Universo. Già alla fine degli anni Sessanta c’è stata la prima osservazione del nostro pianeta dall’alto e da quel punto in poi è cambiato tutto, nel senso che è proprio cambiato il paradigma con cui noi guardiamo alla nostra presenza quaggiù sul nostro pianeta; si dice che le prime immagini astronomiche della Terra vista dall’orbita lunare hanno innescato addirittura i movimenti ambientalisti della fine degli anni Sessanta proprio perché mostravano il nostro pianeta visto dall’alto. Questa prospettiva, estremamente bella dal punto di vista estetico, mostra la fragilità non tanto del nostro pianeta ma degli equilibri che lo rendono abitabile e confortevole per noi esseri umani ed è questo che per la prima volta nella nostra storia ci ha innescato la consapevolezza del fatto che gli equilibri climatici e ambientali sono a nostra disposizione, e che quindi spetta a noi fare in modo di evitare danni più o meno permanenti. Questo è un insegnamento grande che ci ha dato l’astronomia: la nostra azione globale è in grado di alterare gli equilibri che rendono abitabile e confortevole il nostro pianeta e dunque spetta a noi fare in modo che la Terra sia un luogo confortevole per il futuro della specie umana.
[Valentina Vitali]