Basta alzare l’indice della propria mano e dire “telefono casa” per far apparire nella mente di chiunque l’immagine di un timido essere rugoso dagli occhi azzurri, E.T., comparso nelle nostre vite il 7 dicembre di quarant’anni fa. Il suo desiderio di tornare a casa da una famiglia o una comunità extra-terrestre mostrano quanto questo alieno si sentisse estraneo, fuori posto nel mondo umano che pur in parte l’aveva accolto gentilmente.Le specie aliene animali e vegetali sono proprio come E.T. cioè portate dall’uomo in modo più o meno consapevole fuori dal loro ambiente, dalla rete ecosistemica e dalla nicchia ecologica in cui si sono evolute e si ritrovano in un luogo a loro totalmente sconosciuto. Una specie aliena quindi non è intrinsecamente pericolosa e solo di rado riesce ad ambientarsi nel nuovo contesto ma, quando questo accade, allora non ha più competitori o fattori ambientali in grado di limitarla, come invece accade per le altre specie locali, e per questo risulta vincente e diventa così invasiva portando ad una riduzione della biodiversità autoctona. La globalizzazione e gli attuali mezzi di trasporto aumentano gli spostamenti umani, fornendo sempre più occasioni di trasferimento anche per le altre forme di vita e in effetti il numero di alieni sta crescendo in modo preoccupante. Degli estranei che ci vivono accanto, nella regione del Po, e dei loro dannosi effetti parlerà Davide Persico, naturalista, professore associato dell’Università di Parma ed esperto conoscitore della biodiversità del grande fiume.
Professor Persico, quali sono le specie aliene animali e vegetali più impattanti nella rete ecosistemica del Po? Da dove vengono e come sono arrivate?
Certamente nell’ambito ecosistemico del fiume, se prendiamo in considerazione anche la golena, le specie più impattanti sono quelle ittiche. Ormai la fauna ittica del Po è interamente sostituita, le specie autoctone non esistono quasi più e sono state sostituite da specie alloctone importate nel corso degli anni prevalentemente per motivi di pesca sportiva: entrate accidentalmente a seguito di alluvioni che hanno invaso magari dei laghetti di pesca sportiva isolati dal fiume oppure immesse volontariamente al fine di creare un indotto di pescatori sportivi. Negozi di attrezzature e materiali finalizzati a questa pesca costruiscono un vero e proprio impianto economico su un hobby, senza appunto prendere in considerazione l’ecologia del fiume, che oggi è per questo fortemente in sofferenza. Nonostante qualche miglioramento della qualità delle acque nel corso degli anni, a partire dagli anni in cui venne messo in funzione il depuratore di Milano, le caratteristiche dell’ecosistema del Po hanno comunque subìto l’impatto duro di questi alloctoni, in gran parte pesci predatori perchè sono belli da pescare. Però chiaramente il surplus dei predatori determina un azzeramento delle prede, tanto è vero che studi recenti dimostrano appunto quanto questi predatori per sostentarsi si nutrono dei loro avannotti o di piccoli di altri per cui c’è anche un cannibalismo intraspecifico per poter sopravvivere e questo dimostra evidentemente uno squilibrio ambientale.
Per risolvere il problema delle specie invasive a volte si importano negli ecosistemi competitori provenienti dalla zona d’origine in modo da contrastarne la diffusione, come nel caso della cimice asiatica e della vespa samurai, il suo parassitoide esotico; questo però significa di fatto introdurre un’altra nuova specie che a sua volta potrebbe diventare problematica. Lei cosa ne pensa? In certi casi questa strategia di lotta biologica è adottabile o sarebbe preferibile evitarla sempre?
Non è facile. Bisogna distinguere in genere le specie aliene in base alla loro strategia riproduttiva che può essere R, tipica degli insetti, dei pesci o degli anfibi, o K, che caratterizza i mammiferi in particolare. Mentre sui vertebrati (strategia K) si riesce ad intervenire direttamente, con gli organismi a strategia R, basata sulla possibilità di sopravvivenza della prole numerosa, forse l’unico modo di intervenire è inserire un antagonista. Bisogna guardare oltre però prevedendo i danni che potrebbe fare questo antagonista adattandosi magari a predare anche altre specie del nostro territorio quindi bisogna fare delle valutazioni di impatto ambientale e a priori, con studi ben approfonditi al fine di scegliere appunto un antagonista specifico. La lotta biologica va considerata se è l’unico rimedio plausibile, però tenendo in considerazione il fatto che l’ecosistema è notevolmente complesso e c’è la possibilità di innumerevoli interazioni che bisogna essere in grado di prevedere.
Ultimamente ci si è accorti che alcune alloctone invasive si stanno rivelando utili per specie di interesse: l’espansione del lupo e dello sciacallo dorato sembra essere sostenuta dalle nutrie e gli ardeidi stanno dando sempre più spazio nella loro dieta ai gamberi rossi della Luisiana. Ci sono speranze che a lungo termine alcune invasive che non si riesce ad eradicare possano trovare il loro posto nelle reti ecosistemiche locali?
Sì, sono convinto di sì. Hanno già trovato un loro posto, sono già acclimatate e dopo una fase esplosiva di riproduzione. Acclimatazione dovuta al fatto che si è trovata una sorta di equilibrio in cui queste specie sono diminuite di numero, persistono e sono spesso prede per predatori locali. Ultimamente ho condotto delle ricerche sulle fatte di un gruppo di lupi nella zona del parmense e si è visto che, nella gran parte delle fatte analizzate, i resti ossei appartenevano a silvilago o nutria, due specie esageratamente invasive nel nostro territorio che però vengono mantenute controllate dalla presenza di lupi, di volpi e di sciacallo dorato. Quindi si denota un’attività venatoria di questi predatori che sono scesi dall’Appennino (mi riferisco in particolare ai lupi ma anche allo sciacallo) seguendo la diffusione di prede più grandi come gli ungulati (soprattutto i cinghiali) che oggi in Pianura trascurano perché trovano un’abbondanza di prede (nutrie e silvilago) facili da catturare. Stessa cosa per gli ardeidi: si trovano un sacco di borre alimentari che contengono i resti del gambero della Luisiana la cui presenza è quindi mantenuta controllata. Anche l’ibis sacro, anch’esso specie aliena, si sta nutrendo del gambero della Luisiana e pure le volpi lo predano perché nelle loro fatte ci sono i resti; per cui questa alloctona ha trovato un suo ruolo da preda all’interno di un ecosistema che era differente rispetto a quello sub tropicale da cui proviene. Detto questo le condizioni climatiche in fase di cambiamento stanno nettamente avvantaggiando queste specie sub-tropicali.
[Valentina Vitali]