Nomadi
“Allo specchio”, 2009 (CGD)
Pop-rock/Italia
di Paolo Patria
Il periodo di Augusto Daolio ha un significato speciale che va oltre la bellezza delle canzoni. Ma ci sono album dei Nomadi, anche nel periodo successivo alla scomparsa del cantante, che hanno un valore particolare e dimostrano la forza di un gruppo capace di rinnovarsi e continuare il suo viaggio. Come i tre album incisi nell’arco di cinque anni, dal 2004 al 2009: “Corpo estraneo” del 2004, “Con me o contro di me” del 2006, fino al disco “Allo Specchio” del 2009.
Sono anni in cui musiche e testi ispiratissimi si sposano con la voce di Danilo Sacco, capace di prendere in mano un’eredità pesante. Equilibrio che presto sarà cancellato dal suo addio ai Nomadi, per problemi di salute. Proprio in quegli anni, nel 2005, mi capitò di parlare con Beppe Carletti. Gli domandai come definiva la musica dei Nomadi: “Rock – rispose deciso, quasi per rivendicare un’appartenenza -. Chi ha dei dubbi può ascoltare il nostro ultimo disco”. Che era il bellissimo “Con me o contro di me” (contiene perle come “Dove si va” e “Ci vuole distanza”). Carletti non ebbe dubbi neppure a indicare il suo cantante preferito (“Non toccatemi Battiato, è uno che mi fa morire”), ma mi sorprese quando gli chiesi quale canzone avrebbe voluto scrivere: ”Terra promessa” di Eros Ramazzotti. Mi è sempre piaciuta, se la leggi bene senti che dice cose importanti”.
Pochi anni dopo usciva “Allo Specchio”, album che per me è una pietra miliare del linguaggio nomade. Si parte dalle sonorità latine di “Allo Specchio”, brillante frutto della collaborazione con Jarabe De Palo, ma ancora più riusciti sono l’impasto di musica e parole della scintillante “La dimensione”, con il finale di Cico Falzone, o il brano da brividi, “Senza nome”, che ricorda il maresciallo Giovanni Pezzulo, amico dei Nomadi, ucciso in Afghanistan nel 2008 (“E non ho mai preteso di salvare il mondo / Perché il mio cuore mi diceva che era giusto in fondo / Provare a cambiare adesso qui”), fino alla rabbia rock de “La vita è mia” (“Il mondo gettatelo via / Ma la vita giù le mani quella è mia”).
Ogni pezzo dell’album suona benissimo e stilare preferenze è difficile. C’è l’emozionante “Prenditi un po’ di te”, messaggio sulla dignità femminile con un testo raffinato e una melodia malinconica e ribelle (“Donna di un uomo / Che uomo non sarà mai / E pensa di avere vinto / Prenditi un po’ di te / Non è mai finita / Non vale una vita”) o la dolcissima “Qui” (“Perché qui/ è passato l’amore/ ad un passo da me”).
Ha un ritmo trascinante la bellissima “In questo silenzio” (“Io cerco una direzione / Voglio una direzione / Dentro al viaggio della vita cerco un contatto”), coinvolge “Non so io ma tu” (“Quanti sogni avrai ancora”), si cala un attimo solo con il canto politico e scanzonato de “Il ballo della sedia”, mentre la conclusione è affidata alla straniante “Il nulla” (“Non capisco che paura possa farvi/ questo mio male/ io non lo so”).
Un disco vivo e impegnato che mostra che la magia dei Nomadi continua, per e nel segno di Augusto. Una band dal cuore rock che continua a battere, difendendo e conservando i suoi ricordi, senza arrendersi ai rimpianti.