High Tide
“Sea Shanties”, 1969 (Liberty Records)
proto-heavy, pschidelia doom, metal-prog
di Antonio Del Mastro
Parlare di artisti che anche se spesso sottovalutati, hanno contribuito alla nascita di un genere musicale o anche solo riscoperti recentemente dalla critica, è cosa piacevole e sicuramente curiosa dal punto di vista musicale. Si sa che a volte vengono scelti casualmente alcuni dei rappresentanti di uno stile o di un epoca e gli stessi tendono ad oscurare tutto il resto della platea. Credo che fin qui siamo tutti d’accordo.
E’ il caso di un gruppo inglese che con largo anticipo sviluppò una sonorità all’epoca del tutto sperimentale e a tratti sinfonica quanto basta per catalogarli in futuro anche come prog-metal band dal suono corposo e potente.
Nella seconda metà degli anni ‘60 il supergruppo psichedelico The Misunderstood su indicazioni del mitico John Pell, futuro dj della BBC, si trasferì in Inghilterra ed ingaggiò il cantante e chitarrista Tony Hill. Lo stesso chitarrista, finita in anticipo l’avventura con la band, assieme al violinista e tastierista Simon House, al bassista Peter Pavli e al batterista Roger Hadden, fondò gli HIGH TIDE nel 1969. Mentre i Beatles suonavano ancora con il sottomarino giallo e i Creedence incidevano i loro primi tre album, i Tide cercarono di fondere insieme tramite alcune demo pubblicate da Apple Music il folk irlandese, la psichedelia e l’hard rock ma fu con un contratto discografico della Liberty Records che incisero ad ottobre del 1969 il loro primo album, Sea Shanties.
Nacque così la “favola terribile dei canti marini”, profeti assoluti di quel dark sound che stimolava idealmente suggestioni spaventose. Infatti la copertina dell’album ( ideata da Paul Whitehead, futuro disegnatore di Trespass dei Genesis) raffigura una tetra palude marina infestata da creature ripugnanti e grottesche in cui un antico galeone vi si incaglia. Una bellissima trasposizione suono-immagine, dove la potenza evocativa della musica richiama la forza della natura. Micidiale.
Tornando all’album il suono indicibilmente tormentato regna nei solchi, tant’è che il brano di apertura Futilist’s Lament può concorrere a brano più potente dell’intero anno. E’ un precipitare rapido e inesorabile negli abissi spalancati della chitarra doom di Hill con la sua voce morrisoniana da incubo. Non in secondo piano l’insidioso violino elettrico di House che si intreccia nelle distorsioni psichedeliche e una intro drum and bass che anticipa di un anno intero i Black Sabbath. Il brano strumentale Death Warmed Up è un assalto demoniaco di proto heavy-metal con chitarra e violino eseguito con un non ben definito trip allucinogeno che sfiora i dieci minuti. House dimostra il miglior trapianto del suo strumento in un brano rock, un morboso sfogo solistico e una forse cupa ossessione di imitare Hill, rendendo a volte difficile distinguere i riff dei due strumenti. La stessa difficoltà la incontriamo in Pushed, But Not Forgotten dove anche se i toni sono più morbidi, in tinta jazz, non mancano due affondi infernali durante l’ascolto del brano. In Walking Down Their Outlook le sonorità acide e psichedeliche di Morrison & Co vengono enfatizzate in maniera più hard con il violino che primeggia sulla sezione ritmica. Davvero sensazionale.
In dieci minuti di Missing Out erutta dagli altoparlanti una dissonanza distorta, pesante e minuziosamente realizzata da Hill e House, altro brano capolavoro al pari dei primi due. Con la testa ormai diventata un pasticcio di cervello fumante (mi è venuta spontanea questa…), la malinconica Nowhere conclude questo magnifico album di psichedelia oscura che lascia presagire sbocchi evolutivi in futuro. Ma purtroppo dopo il secondo album omonimo del 1970, dove oltre alla matrice psichedelica si sentono divagazioni folk e suoni più vicini al progressive, il gruppo si sciolse (infatti venne inciso un terzo album nello stesso anno e pubblicato soltanto nel 1989 a seguito di una reunion di Hill e House). Il batterista a causa di continui esaurimenti nervosi scomparì dalle scene, il bassista Pavli e soprattutto Simon House orbitarono nel gruppo degli Hawkwind ( House anche con Bowie, Japan e Oldfield) riscuotendo maggior successo e sostegno economico. Hill, chitarrista prodigioso e umile a dispetto della sua grandezza artistica restò confinato in saltuari progetti di rifondazione dei Tide e pubblicò due album da solista.
La sua filosofia era quella di non scendere a compromessi con manager e case discografiche ma di trasmettere al suo pubblico, un certo distacco dalla musica commerciale e restare più underground possibile. Pubblico di certo non vasto e ricco ma composto da soli appassionati del gruppo.
Infatti visto il dilagarsi di proposte nella ribollente scena musicale inglese in quel periodo, restarono quasi indifferenti al grosso pubblico. Davvero un peccato non aver dato spazio ad una band dal suono unico e annunciato con largo anticipo.
I pochi fortunati che hanno le prime stampe di Sea Shanties sanno di avere un disco che sfiora i 1000 euro ma fortunatamente diverse ristampe in vinile e CD ad un prezzo ben più basso e per comuni mortali, dovranno essere motivo per l’acquisto dell’opera che non deluderà le aspettative. Premesso che l’album è abbastanza omogeneo nella composizione dei brani e se si ha pazienza di intraprendere un viaggio nell’Atlantide Perduto del Rock , invito chiunque abbia buon orecchie a possedere assolutissimamente questo capolavoro…come dico sempre provare per credere!
Buon ascolto.