Angra “Holy land” (1996)

Angra “Holy land” (1996)

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Angra
“Holy land”, 1996 (Angra)
Heavy metal

di Marco Caforio

Gli anni ’90, a livello di immaginario collettivo, non sono certo considerati tra i più fecondi per la musica metal, commercialmente stritolata dalle nuove leve di MTV e dal fenomeno grunge.
A voler ben vedere, tuttavia, il sottobosco heavy di quel periodo seppe donare alle stampe vere e proprie gemme di abbagliante fulgore, ormai assurte al rango di capolavori imprescindibili.
Uno di essi, senza la benché minima ombra di dubbio, risponde al nome di “Holy Land”.
La band carioca, che tre anni prima aveva debuttato con l’ottimo “Angels Cry”, decide di sparigliare le carte e di affrancarsi dalle influenze squisitamente Helloween-iane degli esordi, e di imboccare un sentiero molto più personale ed ambizioso.
Il secondo full length dei Nostri, infatti, sfoggia ancora il ruggente power dall’alto tasso tecnico già messo in mostra in passato, ma lo condisce con inedite influenze etniche e sinfoniche. Un melting pot tanto ardito quanto vincente, gestito con disarmante naturalezza e privo di forzature, capace di donare alle composizioni una veste di raro fascino.
Proprio le composizioni mettono in mostra lo stato di grazia assoluta che baciava la band in quegli anni: si pensi, ad esempio, all’inno “Nothing to Say”, alla torrenziale suite “Carolina IV”, alle sognanti melodie della title track o al chorus indimenticabile di “Make Believe”.
Anche sotto il profilo esecutivo ci si assesta su livelli di eccellenza assoluta: il (mai abbastanza) compianto Andre Matos regala una prestazione da brividi, mentre la coppia di asce, composta da Kiko Loureiro e Rafael Bittencourt, snocciola riff ed assoli strepitosi con disarmante continuità. Non da meno la sezione ritmica, con la coppia Luís Mariutti – Ricardo Confessori sugli scudi per estro e buon gusto.
Aiuta di certo, in termini di suggestione, il concept lirico, che ruota attorno alla figura di Cristoforo Colombo ed alle sue esplorazioni in America Latina.
Purtroppo quegli Angra, a causa di screzi personali e scontri d’ego, dureranno poco: giusto il tempo di un altro album, il meraviglioso “Fireworks” (1998), e poi il cambio di line-up, col dolorosissimo avvicendamento di Matos, Mariutti e Confessori.
Ma quella è un’altra storia, che nulla toglie allo splendore “Holy Land”, ancor oggi opera perfetta ed unica, pregna di un fascino e di una potenza evocativa inarrivabili.

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