The Who
“Tommy”, 1969 (Polydor)
Rock
di Paolo Patria
Quando ascoltai ‘Tommy’ per la prima volta mi sembrò di non essere di fronte a un album degli Who.
Dov’erano il mondo dei Mods e gli scontri con i Rockers, le chitarre spaccate dei concerti, la violenza gratuita, tutte cose per le quali avevo classificato – in modo superficiale e presto liquidato – questo gruppo? Dov’era la sporca genialità giovanile e l’energia ruvida del manifesto ‘My Generation?’ Tommy mi pareva suonare un po’ ‘classico’.
Non immaginavo che nel tempo sarebbe rimasto così ‘fresco’ mentre erano altri album a invecchiare.
Erano anni in cui si cresceva senza internet e di fronte a un’opera complessa e profonda si scatenavano le discussioni tra amici. Nella nostra compagnia successe per ‘Tommy’ così come per il film ‘2001 Odissea nello spazio’: da ragazzini ci confrontavamo per ore in cortile sul significato dello specchio degli Who o del monolite di Stanley Kubrick.
‘Tommy’ è la sofferta grandezza di Pete Townshend: emozioni profonde in una musica intrecciata perfettamente ai testi, prog-rock dai riff di chitarra scintillanti, la batteria di Keith Moon a variare il ritmo come un cuore pazzo, il canto mozzafiato di Roger Daltrey, il basso incisivo e a tratti sincopato di John Entwistle e le illuminanti aperture orchestrali. Sorprende, leggendo i resoconti sulla nascita di ‘Tommy’, scoprire come una genesi quanto mai disomogenea e a tratti casuale abbia prodotto un’opera rock tanto compatta ed equilibrata.
Il bambino che vede nello specchio il padre uccidere l’amante della madre (nel film è l’amante a uccidere il padre, ribaltamento piuttosto efficace) è ’spinto’ dai genitori a negare la verità, a diventare cieco sordo muto (in fondo è la condizione di tanti uomini che normalmente non sanno vedere o ascoltare la ‘verità’).
Nonostante questo, Tommy è ‘in a quiet vibrazioni land’ (‘in una terra quieta di vibrazioni’). Nel suo percorso incontra l‘Acid queen della droga (una prostituta), trova il riscatto diventando – grazie alle vibrazioni! – un mago del flipper (‘Pin ball wizard’), ma prima subisce ogni genere di violenza ed episodi di bullismo. La guarigione arriva attraverso lo specchio, confine e passaggio della storia, poi la fama e il successo, lo ‘sfregio’ a Sally Simpson, le ribellioni e l’ascesa verso una dimensione divina.
Si passa dall’invalidità al messaggio politico fino al fondamentale incontro con la cultura di maestri indiani che in quegli anni intrecciarono spesso i loro messaggi con il malessere di tanti artisti rock. Alla fine Tommy conquista un percorso di crescita che saprà proporre agli altri.
‘I’m free’ è un inno che ho – impropriamente – messo accanto a ‘My generation’.
Nel 1975 uscì il film con Daltrey protagonista, un regista visionario come Ken Russell, le polemiche sul tradimento del messaggio e una schiera di interpreti da paura come Oliver Reed, Ann Margret, Jack Nicholson, Elton John, Eric Clapton, Tina Turner… E nel 1979 ci sarà l’intervista nella quale Pete Townshend darà a Tommy una collocazione speciale nell’universo degli Who: <Oggi sono convinto che sia un classico. Non l’avevo mai sospettato. Avrei preferito che questa sorte fosse toccata a My Generation, ho rischiato di impazzire appresso a ‘Quadrophenia’, ma intimamente so bene che ‘Tommy’ avrà una vita pubblica molto più lunga>.