Elio e Le Storie Tese
“Italyan, rum casusu çikti”, 1992 (Hukapan/Sony Music)
Rock demenziale, pop-rock
di Antonio Lo Giudice
Analizzare criticamente l’opera di Elio e le Storie Tese risulta un’impresa difficile e quasi masochistica, almeno per chi, come il sottoscritto, ha subito fin dagli esordi il fascino da collante generazionale che, prevalentemente nei primi tre dischi, il gruppo milanese ha saputo esercitare. Infatti – come non accadrà per nessuno dopo e come era accaduto per ben pochi prima – anche la frase più idiota e apparentemente irrilevante di un loro brano riesce a suscitare reazioni immediate in chi è stato adolescente, e non solo in quel periodo (gli anni 90). Fa strano dirlo adesso, vista la frequenza con cui imperversano in televisione e le lodi pressoché generali che seguono ogni loro intervento, ma la loro musica è stata forse l’ultima ad essere ascoltata nel buio della propria cameretta con fare cospirativo, facendo in modo che mamma non ascoltasse quella voce nasale parlare di “cassonetti differenziati per il frutto del peccato” e “pene che dà il pane”.
Tuttavia, è bene precisare subito come l’importanza di Elio e Le Storie Tese stia soprattutto nell’aver creato un’epica generazionale, mentre la loro influenza musicale (se si eccettua qualche fenomeno recente, come Marta sui Tubi) è piuttosto limitata. Appurato, infatti, il livello stratosferico di bravura tecnica del sestetto, nei loro dischi vi è per lo più l’applicazione del collage zappiano agli stilemi della canzone italiana – con risultati spesso sorprendenti, certo, ma chi dice di ascoltare i dischi di Elio e le Storie Tese solo per la musica è un po’ come chi afferma di andare su YouPorn per studiare anatomia. L’aspetto musicale, insomma, non può essere scisso dalla debordante comicità nonsense dei testi e dall’effetto di identificazione generazionale che suscitano. Impossibile non riconoscersi tuttora nelle loro canzoni, se hai passato almeno qualche pomeriggio a disquisire su quanto fossero rare certe figurine Panini (altro che “la merda” o “l’eptadone” vagheggiati poco più di dieci anni prima dagli Skiantos) o se, da ragazzo, eri attento a non buttare giù l’Aspirina con la Coca Cola per evitare controindicazioni lisergiche.
A due anni dal formidabile esordio, dall’impronunciabile titolo nella lingua dello Sri Lanka (“Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu”), che conteneva pezzi da novanta come “John Holmes” e “Cara ti amo”, i milanesi sfornano il loro capolavoro, “Italyan, Rum Casusu Çikti” (che, stavolta in turco, sta per “Si è scoperto che l’italiano era una spia greca”). Un disco che meriterebbe un trattato sociologico per ogni suo singolo brano. C’è di tutto e tutto è piazzato al punto giusto, amalgamato da una produzione stellare e impreziosito dalla presenza di un caravanserraglio di ospiti, più o meno improbabili: Oliver Skardy, Enrico Ruggeri, i Chieftains e, soprattutto, le coriste di Mystere des Voix Bulgares, presenti quasi in ogni brano.
La vena comica degli Elii è al massimo e riesce a spiazzare di continuo l’ascoltatore, fin dalla scenetta iniziale di “Servi della gleba” – call and response su base funk nelle strofe e ritornello da soul tricolore che racconta tragicommedie sentimentali e che ancora oggi è ospite fissa nelle scalette dei loro concerti. “Uomini col borsello (Ragazza che limoni sola)” coniuga i Pooh con la musica folk irlandese, sia per gli stili richiamati sia per le partecipazioni dei Chieftains e di Riccardo Fogli (che fa il verso a se stesso, citando “Piccola Katy”).
La favola di Giorgio e Piero introduce il nonsense fiabesco de “Il vitello dai piedi di balsa” (con Ruggeri alla voce), che appare un’idiota parodia delle canzoni da Zecchino d’Oro, ma è anarchicamente geniale nel suo girovagare a destra e manca senza concedere alcun punto di riferimento fino alla triviale conclusione. Anche qui le citazioni, soprattutto del progressive anni 70, sono innumerevoli e celate con un gusto quasi tarantiniano.
“Cartoni animati giapponesi” è un piacevole acquerello zappiano, in cui l’accompagnamento ieratico delle Mystere des Voix Bulgares fa da geniale contrappunto al catalogo di annunci in stile “Le Ore” recitato da Elio. La successiva “Cinquecento”, cantata da Cesareo con voce rallentata in studio, sbertuccia artisti come Eugenio Finardi, Enrico Ruggeri e Gino Paoli che, in quegli anni, avevano composto jingle per la Fiat (da paragonare con l’analogo, e ancora più feroce, brano dei Santarita Sakkascia).
Davanti a “Supergiovane”, giù il cappello. Siamo infatti al cospetto del vertice artistico del gruppo. Formalmente potrebbe essere definito un brano progressive, del quale rispetta tutti i canoni: lunga durata, continui cambi di tempo e di stile (si passa, con un piglio alla John Zorn, dall’hard-rock allo spiritual, con tappa sullo swing e sulla ballatona italiana) e tecnica mostruosa sfoggiata dai musicisti. E’ una sorta di geniale cartone animato, un mix di dieci anni di cultura giovanile marginale che più marginale non si può (e proprio per questo familiare e cara ai più), a partire dall’introduzione di Diego Abatantuono in versione terruncello, vero cult in un’epoca antecedente alla forzosa rivalutazione del trash. La stessa visione politica espressa riporta all’ingenuità che caratterizzava il crepuscolo della Prima Repubblica: non ci si schierava pro o contro un dato governo, visto che, in ogni caso, era roba da “matusa”.
“Essere donna oggi” e “Pork & Cindy” sono sguaiate provocazioni maschiliste (rivalsa del protagonista di “Servi della Gleba”?) in abito da canzone romantica – e, va ricordato, all’epoca i fan di Elio e Le Storie erano al 90% uomini – mentre “Pippero” (“peperone”, in bulgaro), la via demenziale al singolo di successo, è un frullatone dance dal testo spiazzante che coniuga riferimenti all’attentato al Papa con “Ramaya” di Afric Simone, visto dalla popolazione bulgara post-1989 come status symbol occidentale. Il successo di quest’ultimo brano è dovuto anche al geniale video che lo accompagna.
A ricordarci di come tra le specialità degli Elli ci sia anche il nerdismo estremo, provvede l’heavy metal da liceo classico di “Urna”, con tanto di citazione dalla sigla di “Goldrake” – vezzo che, negli anni successivi, sarebbe diventato fin troppo inflazionato, ma, all’epoca, era una novità assoluta – prima del gran finale de “La vendetta del Fantasma Formaggino”, altro tour de force progressivo, la cui storia si snoda tra rivisitazioni di barzellette da elementari (o da asilo), citazioni da “Jesus Christ Superstar” e canzoni di Gianni Morandi, fino alla conclusione da tragedia greca (altra reminiscenza classica, nel senso di scuola) con tanto di intervento del deus ex machina, interpretato sempre da Diego Abatantuono.
All’epoca quasi tutta la critica, soprattutto quella cosiddetta “alternativa”, derubricò questo capolavoro a mera goliardata, forse perché la comicità di Elio e le Storie Tese non si è mai chiamata fuori da ogni tipo di provocazione e sgradevolezza assortita, dando non poco fastidio a chi aveva una visione poco duttile tanto della musica quanto della comicità. Eppure, è proprio a partire da “Italyan, Rum Casusu Çikti” che Stefano Belisari e compagni hanno costruito la loro via alla celebrità. Mantenendo però solo a tratti la genialità corrosiva che aveva ispirato i loro inizi.
https://www.ondarock.it/pietremiliari_ita/elioelestorietese_italyanrumcasusucikti.htm