Pino Daniele
“Nero a metà”, 1980 (Emi)
Blues “napoletano”
di Riccardo Savazzi
Con TERRA MIA di Pino Daniele ho inaugurato la mia esperienza di recensione di un album come Pietra Miliare, e con Pino Daniele voglio chiudere questo ciclo di recensioni, che mai mi sarei aspettato di intraprendere, perché non appartengo alla cerchia di professionisti di questo settore ma sono, forse come altri, un appassionato seriale di musica (non c’è momento delle mie giornate in cui la musica non sia presente).
La scelta di questo disco, come altri che ho proposto, è legata ad un momento particolare della mia vita, vedi recensione di TERRA MIA (maggio 2021), rappresentandone la naturale prosecuzione.
Infatti, reduce da quell’esperienza e dovendo pagare pegno per una scommessa persa, mi improvvisai istruttore di guida per Amelia che in quel periodo scalpitava, forte del suo foglio rosa, per effettuare sessioni di guida.Ecco che allora la mia fiammante rossa 127, provvista di autoradio e mangiacassette, diventò l’autovettura di Scuola Guida che ad ogni sessione di guida, diversamente da quelle ufficiali, diffondeva nell’abitacolo la musica dell’ultimo lavoro di Pino Daniele “NERO A METÀ”.
Dopo questa introduzione passo alla recensione vera e propria dell’album, essendomi fino ad ora limitato a spiegare solo il retroscena che ha indotto la mia scelta, ma proprio perché recensire un LP, addentrandomi in aspetti tecnici e/o storici, che musicalmente parlando paragono alle sabbie mobili, riporterò di seguito una rivisitazione della recensione di NERO A METÀ, del marzo 2015, curata da Raffaele Patti e Giuliano Delli Paoli, reperibile, nella sua versione originale ed integrale, sul sito di ONDAROCK.
Ottobre 1979, gli amati e rivoluzionari anni Settanta stanno per volgere al termine. L’Italia è ancora un paese alle prese con mille e più problemi, incapace di affrontare e risolvere le sue infinite contraddizioni politiche e sociali. Sono gli anni della rivalsa cantautorale, gli anni d’oro in cui poesia e musica seguono all’unisono la medesima scia.
In quei mesi, Pino Daniele è un giovane e promettente cantautore napoletano, ma soprattutto un chitarrista unico nel suo genere, che si appresta a entrare in studio di registrazione per dar vita a quello che sarà uno dei principali manifesti della sua carriera e della musica italiana. Nei tre anni precedenti, il suo talento ha ampiamente sedotto un’intera città, e in particolare Claudio Poggi, produttore discografico della EMI Italiana, il quale dopo aver ascoltato i primi demo decide di puntare a occhi chiusi su quel ragazzo timido ma dall’estro artistico inafferrabile.
Pino viene dal quartiere San Giuseppe di Napoli, ha ventiquattro anni, ma è già un musicista navigato e sicuro dei propri mezzi. Del resto, il suo potenziale artistico è ai massimi livelli fin dalla tenera età. Appena maggiorenne Pino compone quello che diventerà l’inno di un’intera città, il testamento unico del suo incanto e del conseguente disincanto, l’omaggio alla sua bellezza e la sua presa di coscienza più profonda: “Napule È”.
In tal senso, per comprendere appieno l’essenza artistica di Pino Daniele, il suo DNA, bisogna per l’appunto entrare nei vicoli della sua città, carpirne i segreti e gli animi che la caratterizzano. Il Vesuvio, non a caso simbolo del fermento napoletano, che dalle gobbe del magma genera ispirazione e secerne le più recondite paure, è insieme emblema del terrore e simbolo di forza vitale.
“NERO A METÀ”, terzo disco del cantautore partenopeo, è quasi un parto della rivoluzione nera, di un’intensa presa di coscienza dell’animo olivastro e goliardicamente sofferente dei suoi interpreti. È singolare come uno dei più riusciti tentativi di World Music abbia trovato piena sintesi in un territorio socialmente ghettizzato, paralizzato tra il mare e il marmo, tra il dominio e la ribellione, tra le luci e le ombre. A suggellare, inoltre, tale improbabile e accecante amalgama, è la presenza di musicisti del calibro di Gigi De Rienzo, Ernesto Vitolo, Agostino Marangolo, Aldo Mercurio, Mauro Spina, James Senese, Rosario Iermano, Tony Cercola (Astà), Tony Esposito, Karl Potter, Bruno De Filippi ed Enzo Avitabile. Un vero e proprio squadrone di talenti pronti a seguire il giovane cantautore nelle sue infinite e mutevoli contaminazioni sonore.
I testi cavalcano una scura sofferenza come in “VOGLIO DI PIÙ”, per poi esaltare il capriccio goliardico di “A ME ME PIACE ‘O BLUES”. La dicotomia artistica si evidenzia in maniera ancora più decisa nell’alternanza di genere, in bilico tra lo spirito popolare della tarantella, la rumba sudamericana e il blues del Delta. Il ritmo funky sguaina la spada in più occasioni, “MUSICA MUSICA”, “A TESTA IN GIÙ”, “I SAY I’ ST CCÀ’” e la già citata “A ME ME PIACE ‘O BLUES”, con un suono morbido e seducente che si compiace senza mai piombare in stucchevole manierismo.
Lo sdoganamento musicale si consolida attraverso le note della rumba “APPOCUNDRIA”, dal sapore latino. L’esecuzione resta però solo un pretesto per raccontare uno stato d’animo, le parole profetiche accomunano un intero popolo che esprime la malinconia come un’epifania consapevole (“Appocundria me scoppia/ ogne minuto ‘mpietto/ peccè passanno forte/ haje sconcecato ‘o lietto/ appocundria ‘e chi è sazio/ e dice ca è diuno/ appocundria ‘e nisciuno…”).
Sullo stesso gracile filo giace “QUANDO CHIOVE”, canzone struggente e allo stesso tempo liberatoria, attraverso la quale lo spirito di rivalsa e la voglia di rinascita trovano la loro allegorica traslazione nella purezza e nella semplicità dell’evento climatico riletto ora in chiave salvifica.
L’anima scugnizza e l’irriverenza tutta partenopea, espresse magistralmente solo un anno prima nella celeberrima “Je So’ Pazzo”, riprendono fiato in “NUN ME SCOCCIÀ’”, con Pino Daniele nelle vesti del menestrello e del provocatore. Il tema fusion che introduce la dolcissima “E SO’ CUNTENTO ‘E STÀ’” riconferma l’abilità del musicista nel tessere tele melodiche dalle tinte multiformi, variazioni dal tratto sorprendentemente distinguibile, irripetibili nella loro avvolgente singolarità.
La tenue “ALLERIA” richiama l’altro tema tanto caro al popolo napoletano, il bisogno di allegria come antidoto alle angustie dell’esistenza pratica ed emotiva; la voce e la sua esplosione fluttuano nell’aria attraverso docili passaggi di piano e contrabbasso, suggellando lo stato d’animo principe dell’essenza partenopea.
Il carisma e il talento delle singole tracce dell’album culmineranno nel concerto dei duecentomila di Piazza del Plebiscito, e condurranno l’artista verso svariate collaborazioni con musicisti di fama internazionale come Wayne Shorter, Alphonso Johnson, Steve Gadd e Richie Evans nei dischi a seguire.
Buon Ascolto.