Runaways “The Runaways” (1976)

Runaways “The Runaways” (1976)

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Runaways
“The Runaways”, 1976 (Mercury)
Hard-rock, glam-rock, punk-rock

di Martina Vetrugno

Siamo agli inizi del 1975, e l’allora appena sedicenne Joan Marie Larkin, oggi nota al pubblico come Joan Jett, ha un sogno nel cassetto: imbracciare una chitarra e suonare (e vivere il) rock‘n’roll, in un mondo in cui le è sempre stato detto che alle donne non è assolutamente permesso. Quali insidie e quale prezzo possa comportare la scelta di gettarsi nella mischia in un’industria dominata da soli uomini, non ha rilevanza alcuna. Ed è sulla scia di questo presupposto che a seguito di una festa organizzata da Alice Cooper, l’amica cantautrice (all’epoca tredicenne) Kari Krome presenta lei e la sua compagna di band Sandy West, considerata a tutti gli effetti come una delle prime notevoli batteriste in ambito punk, al subdolo e viscido manager e producer Kim Fowley. Per aver chiara l’antifona sul soggetto in questione è sufficiente pensare al contesto: uno squalo che fiuta il potenziale di un gruppo rock formato da sole ragazze adolescenti, pronte a non lasciarsi sfuggire l’occasione di divenire parte attiva della storia della musica e a scriverne una delle pagine più scabrose (considerati i tempi). Racconti di abusi, violenze, molestie, comportamenti manipolatori e molto altro da parte di costui emergeranno gradualmente negli anni successivi, sebbene non fossero affatto un segreto per chi frequentava l’ambiente.
Dopo svariate ricerche, annesse gite tra i night-club di Los Angeles, e repentini cambi di line-up, la formazione delle neonate Runaways si assesta con la grinta di Jett (chitarra ritmica e voce) e Jackie Fox (basso), la tecnica e la precisione di West (batteria), l’attitudine heavy-metal di Lita Ford (chitarra solista) e la blonde bombshell Cherie Currie in qualità di frontwoman. Quest’ultima forgia da subito l’immagine del gruppo, tra provocanti guêpière e corsetti sfoggiati sul palco, consentendo (congiuntamente agli agganci di Fowley) alla band di arrivare alla fatidica firma con la Mercury Records tra gennaio e febbraio del 1976.
In un paio di settimane il debut “The Runaways” è registrato, completato e in procinto di essere pubblicato. I brani riarrangiati appartengono perlopiù all’Ep di demo “Born To Be Bad”, mentre in copertina appare la sola Currie, dettaglio che suscita subito uno dei primi e infiniti attriti tra le componenti del quintetto. Altra scoperta avvenuta a posteriori e confermata da più fonti riguarda le parti di basso suonate su disco, che non apparterrebbero a Fox, accreditata solo “di facciata” e allontanata dal manager, ma a Nigel Harrison (già membro dei Silverhead, e di lì a poco dei Blondie).
Scritta e improvvisata in mezz’ora di orologio in sala prove, non lascia spazio a dubbi la potente, orecchiabile e più famosa “Cherry Bomb”, brano simbolo del gruppo statunitense, che gli permetterà di sbancare oltreoceano, in particolare in Giappone, ma non negli States: cinque ragazze adolescenti che cantavano la vita on the road, fatta di notti brave tra sesso, alcol e droghe, rappresentavano una serie interminabile di tabù per l’epoca. La voce roca di Jett e le chitarre graffianti sono il fulcro di “You Drive Me Wild”, dove traspare l’ammirazione sconfinata dell’artista nei confronti di Suzi Quatro, mentre la palla passa nuovamente a Currie tra i riff fiammeggianti e le cariche di basso di “Is It Day Or Night?”, che spingono in direzione Kiss, e in “Thunder”, che unisce lo spirito di David Bowie di “The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars” a sonorità più taglienti. Un ulteriore highlight è scandito dai ritmi della ruvida “Rock N Roll”, cover dei Velvet Underground, per poi passare al glam-punk venato di pop sostenuto dal drumming leggero e travolgente di “Lovers”.
Si continua con il piano, i guitar-riff festosi e i cori di “American Nights”, e l’heavy rock’n’roll della spietata “Blackmail”, che trae in parte ispirazione dall’operato dei Deep Purple. Chiudono il percorso in bellezza la doppia vita raccontata in “Secrets” e la più lunga “Dead End Justice”, cantata da Jett e Currie, che inizialmente ricalca le sonorità dell’opener, per poi mutare in una sorta di dialogo retto dalla batteria in sottofondo ed esplodere in un guitar-solo verso il culmine.
Perennemente vessate da Fowley e dal suo collega Scott Anderson, le Runaways si spingeranno al limite e affronteranno un tour estenuante, di supporto a Cheap Trick, Van Halen, Talking Heads e Tom Petty And the Heartbreakers in America, attraverso bettole e squallidi motel, fino alla leg europea, ormai in preda all’alcolismo e alla tossicodipendenza. A fare la differenza e a decretare un miglioramento nelle vendite, inizialmente penalizzate dagli scarsi passaggi in radio e dalla poca (e per nulla lusinghiera) pubblicità, sarà la data al leggendario Cbgb’s di New York. Tutto questo lontano dallo sguardo dei genitori, consci tuttavia che la situazione fosse fuori controllo, ma impossibilitati a fermarla.
Rivalutato a posteriori e affiancato a grandi produzioni come quelle di Aerosmith e Led Zeppelin, “The Runaways” rappresenta uno dei primi passi da parte di un progetto tutto al femminile nel mondo del glam-rock e del punk, e insieme al sophomore “Queens Of Noise” è l’opera che ha contribuito a consacrare il gruppo californiano. Trampolino di lancio in particolare per Jett e Ford che, a seguito dello scioglimento delle Runaways nel 1979, intraprenderanno carriere soliste, sarà fonte d’ispirazione per tante band come Germs (il cui eccelso debutto “(GI)”, pietra miliare dell’hardcore-punk, sarà prodotto proprio da Jett), Go-Go’s, ancor di più per tutto il movimento riot grrrl anni Novanta e relativo territorio confinante, con in testa Bikini Kill, 7 Year Bitch, Babes In Toyland, L7 e Hole, fino al cantautorato tagliente di Alanis Morissette e alla grinta di Alison Mosshart.

 

 

https://www.ondarock.it/pietremiliari/runaways-therunaways.htm

 

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