Abdoulaye Diabatè
“Kassikoun”, 1988 (Syllart Records)
Mande music, wassoulou, agro-pop
di Giuliano Delle Paoli
Un griot al servizio della musica dell’etnia mande. È sempre stata questa la vocazione di Abdoulaye Diabaté, fin da quando era un novello percussionista ambito alle festicciole del suo paese. Un cantore e poeta dallo spirito libero educato in una famiglia di griot, antica figura delle tribù concepita come ambasciatrice di arti e in seguito come custode che preservasse la tradizione orale dei propri avi dal colonialismo occidentale, tant’è che griot è anche suo fratello Kassé Mady, uno dei cantanti maliani più famosi.
La carriera di Abdoulaye inizia a spiccare il volo nel 1976, l’anno in cui si unisce all’Orchestre Régionale della sua città, Ségou, prima di incantare un pubblico più vasto come cantante principale dei Koulé Star di Koutiala e dei Kéné Star du Mali di Sikasso. Proprio con quest’ultima orchestrina Diabaté vince il primo premio delle Biennali di Timbuctù del 1986 e del 1988, sancendo un periodo d’oro che culmina con la registrazione del suo capolavoro, “Kassikoun”, opera tra le più importanti della musica del Sahel.
Distribuito dalla Syllart Records, etichetta grazie alla quale molte opere africane sono arrivate in Occidente, “Kassikoun”, che in bambara significa “A volte”, inquadra lo spirito della musica mande e raccoglie i cocci sparsi da Diabaté negli anni precedenti, prima come membro dei Tentemba Jazz du Mali e poi come fondatore dell’orchestra Super Mande assieme al burkinabè Mangue Konde, il cui primo volume, ”Wahabiadachi” (1978), per quanto grezzo sul piano produttivo, contiene già le prove generali di quello che sarà lo stile inconfondibile di Abdoulaye Diabaté. Un’evoluzione di geniali slanci chitarristici e percussioni ammalianti, che nel 1988 con “Kassikoun” raggiunge il suo apice melodico, al netto di un’impostazione più localista e meno internazionalizzata rispetto ad altre perle del territorio, come ad esempio “Soro” di Salif Keita o “Niamey Twice” di Moussa Poussy & Saadou Bori.
L’essenza circostanziata della musica è un dettaglio importante e caratterizzante, per un disco arrangiato sapientemente da Boncana Maïga e Saffre Coulibaly: il primo è un flautista maliano che ha vissuto a Cuba nella seconda metà degli anni Sessanta, in quanto parte dei Maravillas de Mali, un’orchestrina di musica afro-cubana voluta da Fidel Castro, prima di rincasare e diventare uno dei produttori più importanti della scena locale (negli anni Novanta avrebbe prodotto gli Alpha Blondy); il secondo, che in “Kassikoun” suona la chitarra, sarà presenza costante nei dischi di Diabaté fra la fine degli Ottanta e l’inizio dei Novanta.
Registrato presso gli studi Jbz di Abidjan (Costa d’Avorio), la città in cui Diabaté si era trasferito [nota], “Kassikoun” è uno scrigno di trovate ritmiche dove un ampio spettro percussivo si intreccia alla chitarra solista del sopraccitato Coulibaly e a quella ritmica di Yacouba Balla (fatta eccezione per i brani “Wale Gnouma” e “Djarake”, in cui l’accompagnamento è affidato al chitarrista guineano Dielly Moussa Kouyaté, musicista importante e già collaboratore di Salif Keïta sin dagli anni Settanta).
Tra le trame delle otto canzoni si annidano melodie canore che assecondano, da buon griot quale è Abdoulaye, la tradizione dei canti maliani, mentre i cori di Ame Bamba, Angèle Adjorolo e Konimba Traore formano una sorta di I-Threes in stile mande. È un controcanto corale che in momenti come “Dona Bolife” si erge a eco in loop, così come nella memorabile “Louanze” tende a fungere da sostegno al ritornello, tra un assolo che non vuole saperne di compiersi fino in fondo e l’enfasi dei fiati di Manou Yodan (sax tenore) e Francis Ekoule (tromba).
La sintonia tra i vari strumenti è appunto la cifra armonica che delinea le fasi di un disco in cui non mancano episodi pastorali, come la ballata solo voce e chitarra “Wale Gnouma”, con Diabaté nelle doppia veste di predicatore romantico e sciamano di sogni. Una preghiera che anticipa al centro del piatto la gioia di “Sissi Kouloun”, danza che si insinua sottopelle grazie alla tastiera singhiozzante di Akele Gata Gabi, che spunta a sorpresa qua e là, e ai consueti siparietti tra tromba, sassofono e chitarrine pizzicate.
È il brano che maggiormente esplicita l’influenza della cultura wassoulou (localizzata nel sud-ovest del Mali) sulla sua musica: il ritmo è un didadi, ossia un andamento solitamente guidato da più djembe (tamburi tipici delle nazioni del Sahel), derivato da una danza tradizionale femminile volta a propiziare il raccolto. Anche il testo è immerso nelle credenze locali, tanto che nel ritornello il cantante afferma: “Il didadi è la musica dei jinn” (fonte: Lucy Durán: “Birds of Wasulu”, British Journal of Ethnomusicology, 1995). I jinn sono entità soprannaturali che testimoniano il sincretismo fra l’Islam e le religioni tradizionali: il loro culto era preesistente la predicazione di Maometto, ma sono poi stati inglobati nella nuova religione.
In questo trionfo di sonorità mande non poteva mancare l’omaggio al continente, intitolato ovviamente “Africa”, con cui Diabaté decanta la propria appartenenza al popolo africano mentre le coriste ripetono il nome del continente per tutto il tempo e le chitarre ripescano dai tipici ghirigori della rumba congolese. Alla celebrazione segue il commiato, con l’acustica “Djarake”: stavolta Diabaté sembra piangere e le sue lacrime scendono sul metronomo scandito dal percussionista Tenekoun Diarra, segnando il passo di un cerimoniale che chiude un’opera fondamentale per il pop africano, soprattutto per il suo essere ancorata allo spirito primordiale del Sahel nelle sue più ardenti sfaccettature.
[nota] Non è chiaro in che anno. Il sito della scuola Fula Flute sostiene nel 1975, data che appare però improbabile, poiché secondo la maggioranza delle altre fonti in quel periodo si trovava ancora in Mali e operava, come sopra riportato, con complessi locali. Non è l’unica contraddizione biografica che si incontra in merito all’artista: persino la data di nascita è incerta, con le fonti che si dividono più o meno equamente fra 1948 (African Music Library), 1952 (Mali Music) e 1956 (Fula Flute).
https://www.ondarock.it/pietremiliari/abdoulayediabate-kassikoun.htm