Def Leppard “Hysteria” (1987)

Def Leppard “Hysteria” (1987)

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Def Leppard
“Hysteria”, 1987 (Mercury)
Hard-rock, Glam-metal

di Martina Vetrugno

Spotlight, magnetic, raise the rhythm! O di come i Def Leppard raggiunsero il loro massimo punto di svolta nell’agosto del 1987, dopo un minuzioso lavoro durato oltre tre anni e costellato di mille difficoltà. In ascesa grazie al successo del fortunato “Pyromania” uscito il 20 gennaio del 1983, il quintetto britannico, all’epoca composto dal cantante Joe Elliott, i chitarristi Steve Clarke e Phil Collen, Rick Savage al basso e Rick Allen alla batteria, era intenzionato a cavalcare l’onda appena terminato il tour, non con la pubblicazione di “un’opera gemella” votata all’hard‘n’heavy, ma con un ampliamento delle proprie influenze e una virata in direzione pop. Originariamente intitolato “Animal Instinct”, “Hysteria” rappresenta il coronamento della carriera del gruppo inglese e quasi sicuramente non avrebbe avuto la stessa resa senza il provvidenziale intervento del produttore perfetto nel momento e al posto giusto: Robert John “Mutt” Lange.
Già fondamentale collaboratore nel valido capitolo appena pubblicato, e stremato dal ritmo sostenuto per le impegnative e maniacali sessioni di produzione, Lange decide inizialmente di ritirarsi e lasciare il ruolo vacante. La scelta per continuare la messa a punto del disco cade inizialmente su Jim Steinman (Meat Loaf, Bonnie Tyler, Air Supply), ma l’accordo va in fumo (e a carissimo prezzo in termini di tempo e denaro) a causa della mancanza di perfezionismo da parte del compositore e producer statunitense, ritenuta invece fondamentale da Elliott e soci. Il 31 dicembre del 1984 avviene una tragedia che cambia ulteriormente le carte in tavola: Allen perde il braccio sinistro in seguito a un incidente stradale. Nonostante l’accaduto, la band si dimostra compatta e il batterista più che determinato a proseguire una volta ristabilito, con l’ausilio di un kit elettronico/acustico personalizzato apposta per lui. Il successivo e improvviso ritorno in scena di Mutt Lange consentirà ai Nostri di riprendere a pieno ritmo la corsa verso il proprio obiettivo, superando nel corso del 1986 un altro incidente d’auto, stavolta a danno del produttore stesso, e una brutta parotite nel caso del frontman.
Primo singolo a essere scelto per il lancio dell’album negli Usa e traccia d’apertura, la grintosa “Women” rimbalza tra lussuria e metafore bibliche attraverso gli intrecci delle chitarre glam della premiata ditta Clarke-Collen e la granitica bassline di Savage. Piazzatasi solo all’ottantesima posizione della Billboard Hot 100, fece inizialmente temere il fiasco oltreoceano; gli estratti successivi smentiranno tale previsione, consentendo al disco di dominare le chart di tutto il mondo per quasi tre anni e ottenere ben dodici dischi di platino negli Stati Uniti. A fare sfoggio della tecnologia dell’epoca è il lavoro certosino compiuto con i sample impazziti di “Rocket”: bocciato dalla critica per la sua apparente mancanza di gusto, il brano si apre con un verso tratto da “Gods Of War”, inserito con la tecnica del backmasking, e omaggia, sia nelle liriche sia nelle melodie scelte, numerosi artisti emblema degli anni Sessanta e Settanta, tra cui Lou Reed, i Cream, i T. Rex, David Bowie e i Beatles. Concepita come traccia quasi interamente strumentale, venne sviluppata in maniera rocambolesca ed estremamente articolata, grazie a un ascolto casuale della “Burundi Black” di Burundi Steiphenson Black da parte di Elliott, colpito dai ritmi tribali della stessa. Tra loop ritmici e sovraincisioni in direzione space-age, e il genio di Lange che propose drum machine in serie e perfino cori monastici, l’ultima cosa che si poteva pensare era che al gruppo mancassero ispirazione o gusto.
Per riuscire a ottenere dalla demo originale di Collen la versione definitiva (e soprattutto desiderata) di “Animal”, estratto squisitamente pop che condusse il quintetto al successo anche in Uk, dove faticava ad affermarsi fin dagli esordi, ci vollero quasi tre anni, ma ne valse la pena. Ad essa fanno seguito l’emotiva “Love Bites”, power ballad di maggior successo della band, divenuta un classico glam metal, inizialmente concepita in chiave country-western e scritta interamente da Lange; e non una hit qualunque, ma l’esplosiva canzone simbolo della formazione britannica, “Pour Some Sugar On Me”. Quest’ultima venne composta, preparata nel giro di due settimane e aggiunta in extremis su pressione del producer alla casa discografica, quando il disco era stato praticamente ultimato: a influenzare Elliott in quel caso furono in parte la versione di “Walk This Way” che vedeva gli Aerosmith affiancati dai Run DMC e, leggenda vuole, una conversazione intorno a una tazza di tè.
A detta di Elliott, il tipo di cantato scelto per la birichina “Armageddon It” miscela i T. Rex ed Eddie Cochran, il tutto corredato da cori da cantare a squarciagola e una bella progressione ammaliante di matrice stadium-rock; mentre la preghiera di pace arricchita da guitar-riff imponenti contenuta in “Gods Of War” esce dai consueti canoni testuali del gruppo, avvicinandosi a contesti politici. L’iniziale tentativo di accordo tra Jim Steinman e il gruppo produsse diversi aneddoti buffi, e i più emblematici riguardano proprio l’agguerrita e accattivante “Don’t Shoot Shot Gun”, e la più heavy “Run Riot”, in zona Ac/Dc: per quanto concerne la prima, Steinman si disse notevolmente impressionato da un abbozzo stonesiano, salvo comprendere in seguito che i musicisti si stessero solo scaldando e dovessero accordare gli strumenti, sulla seconda suggerì l’uso di sintetizzatori à-la Yes. Nulla di più sbagliato e lontano dalle idee dei Nostri, la cui meta era una versione hard-rock di “Thriller” di Michael Jackson.
La ballata “Hysteria”, il cui videoclip divenne uno dei più trasmessi da Mtv, lascia spazio a chitarre limpide e cori altisonanti nel refrain, destreggiandosi fra qualche rimando luminoso ai Supertramp e le svariate parti di chitarra (quattro o otto, a seconda dei passaggi) assemblate in fase di produzione per suonare contemporaneamente, alcune registrate addirittura nota per nota, anziché strimpellate.
A voler trovare necessariamente un difetto, l’unica canzone al di sotto della media e che non aggiunge nulla di particolare è la ripetitiva “Excitable”, che lascia il posto alla conclusiva “Love And Affection”, le cui liriche chiudono il cerchio ponendo in contrapposizione istinto e sentimenti.
Tra i simboli dell’hard-rock anni Ottanta, nonché del pop-metal mainstream, con la sua durata complessiva di un’ora, che al tempo attestava l’opera come una delle più lunghe mai pubblicate su un unico vinile, “Hysteria” scorre via come un treno, scivolando tra un pezzo indimenticabile e l’altro; dodici canzoni che hanno consentito ai Def Leppard di ritagliarsi il proprio posto nell’olimpo delle band di maggior successo di sempre, con più di venti milioni di copie vendute e infiniti riconoscimenti.

 

 

https://www.ondarock.it/pietremiliari/defleppard-hysteria.htm

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