Beth Orton
“Trailer park”, 1996 (Heavenly)
Songwriter, folktronica
di Giuliano Delli Paoli
Ci sono opere che fanno storia a sé, e che puntano dritto verso sentieri spesso inesplorati. Sono dischi per certi versi coraggiosi, talvolta ambiziosi, dotati di una singolarità sfuggente, a suo modo penetrante, ma soprattutto capaci in qualche misura di tracciare nuovi percorsi, quasi a fungere da collante unico tra un genere e l’altro. È il caso di “Trailer Park”, secondo album della cantautrice folk inglese Beth Orton, uscito nel lontanissimo 1996 e ancora oggi annoverabile tra i più fulgidi esempi di quanto accennato poc’anzi.
Nel cuore dei Novanta, generi come trip-hop, Idm e folktronica segnavano il passaggio di consegne tra il passato e il presente. Il rock si vestiva improvvisamente di partiture downtempo, con i vari beat smorzati a ubriacarne il ritmo, mettendo dunque da parte la propria grezza esplosività, camuffandosi a getto continuo con l’elettronica da intrattenimento più fascinosa, contraendosi ed espandendosi di volta in volta e a seconda dell’occasione.
In tutto questo spiazzante fiorire di nuove produzioni e insolite commistioni, l’estro compositivo e la voce calda, morbida e concisa di Beth Orton finirono per collocarsi a metà strada tra tradizione e innovazione, fondendo l’ossatura folk britannica dei mirabolanti anni Settanta con inserti di stampo elettronico di pregevole fattura, sorprendenti sia per l’ineccepibile calibratura, sia per compostezza ed eleganza.
Dopo aver esordito nel 1991 nel duo Spill in compagnia del fidato amico di una vita, il buon William Orbit (Madonna, Blur), dando vita al primo (e unico) Lp, “Don’t Wanna Know ‘Bout Evil”, la dolce ragazza giunta da Norwich nel cuore di Londra per assaporare e cogliere al meglio l’andazzo dei tempi inizia la carriera solista giusto un anno dopo, nel 1992, pubblicando “SuperPinkyMandy”, opera acerba ma con diversi guizzi elettropop, parimenti fondamentale per delineare al meglio quello che sarà il tratto distintivo del proprio sound. Fin da subito, la Orton si distingue dal resto della ciurma di cantautrici più o meno alternative, per il flusso di trovate elettroniche adoperate, atte a collidere di continuo con l’impianto acustico di base, disorientando così l’ascoltatore mediante un climax particolarissimo e per certi versi unico nel suo genere, denso di contrasti e improbabili fusioni incastonate puntualmente alla perfezione.
Ed è proprio con “Trailer Park” che l’intuizione di accorpare una vocazione folcloristica alla Sandy Denny (per intenderci) con intarsi ritmici di matrice squisitamente elettronica assume un significato ben preciso, in un equilibrio perfetto di sovrapposizioni stilistiche immacolate e mai invadenti. A produrla in diverse tracce sono l’amico Ted Barnes dei Clayhill e il divino Andrew Weatherall, genio ai controlli tra i più influenti in quel periodo, vedi album del calibro di “Screamadelica”.
Dopo essersi messa in mostra l’anno prima, prestando la propria voce ai fratelli chimici in “Alive Alone”, ultima traccia dell’eccellente “Exit Planet Dust”, la dolce Beth trova finalmente la quadratura del cerchio in queste undici vibranti composizioni, supportata in fase di stesura dei vari brani dal già citato Barnes e da Ali Friend, così come in studio di registrazione da musicisti di primissimo ordine, come il tastierista Lee Spencer e l’organista David Boulter.
Il violoncello magnetico e surreale di Oliver Kraus e il violino di Beki Doe introducono la magnifica “She Cries Your Name”, traccia d’apertura dell’album. Il brano, tra l’altro, è già contenuto sia nel disco esordio (ma con ben altra impostazione), sia nel quinto disco di William Orbit, “Strange Cargo Hinterland”, uscito diversi mesi prima. Tuttavia, è l’estatica “trasfigurazione” in “Trailer Park” a riscuotere maggiore successo. E non è affatto solo un caso. Acustica ed elettronica passeggiano meravigliosamente all’unisono, coadiuvate dall’ugola affilata, suadente e mai fuori posto della cantautrice inglese. L’andatura bristoliana della successiva “Tangent” sposa a sua volta soluzioni alla Red Snapper – memorabile trio breakbeat in cui figura Ali Friend – mentre la Orton insegue traiettorie vocali e umori degni della miglior Gibbons.
Ma “Trailer Park”, oltre a sapersi vestire di elettronica, è innanzitutto un disco pregno di melodie formidabili e ballate folk dal sapore antico, come la sublime “Don’t Need a Reason”, sospesa tra malinconici archi e mesti arpeggi. Stesso dicasi del crescendo acustico di “Whenever”, a metà strada tra Richard and Linda Thompson e i Fairport Convention. La carica briosa e vagamente spensierata di “Live As You Dream” rimanda al contempo alla Sheryl Crow meglio ispirata di “Tuesday Night Music Club”, così come il mood placido e sognante di “Sugar Boy”, con la preziosa corista Tasha Lee McCluney da supporto nel ritornello, sorretto da un arrangiamento lievemente jazzy, sarà l’esempio da seguire per tutte le future Norah Jones.
Il missaggio di Weatherall in “Touch Me With Your Love” fornisce linfa vitale ai ricami electro-jazz che alimentano la trama, attraverso un’estasi di microbattiti che si intersecano sullo sfondo con precisione e accuratezza, da contraltare al cantato soave della Orton. Mentre il piglio pop scanzonato di “How Far” aggiunge quel pizzico di evasione sbarazzina e candida leggerezza che non guasta mai.
“I Wish I Never Saw the Sunshine” è invece la cover folk vagamente dimessa che proprio non t’aspetti della celebre ed epocale hit delle Ronettes scritta dal grandissimo Phil Spector, a conferma di una proprietà dei propri mezzi decisamente fuori dalla norma e di un’intraprendenza artistica a dir poco notevole. Il violoncello e lo sfrigolio elettronico di “Galaxy of Emptiness” sorreggono la Orton nell’ultimo amplesso elettroacustico del lotto, ponendo il sigillo a un capolavoro unico nel suo genere. Un album che farà scuola e da apripista alle tantissime ancelle folk dei Duemila dalle velleità voltaiche, fino ai giorni nostri, a cui seguirà due anni dopo l’altrettanto meraviglioso “Central Reservation”.
https://www.ondarock.it/pietremiliari/bethorton_trailerpark.htm