Il re Tremarello

Il re Tremarello

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Le piccole storie di Maria Vittoria Grassi

C’era ancora una volta un re, il cui piccolo ma importante regno si trovava in cima a una bellissima collina, tra fiumicelli e alberi ombrosi che incorniciavano il suo antico castello. Il re si chiamava Sardanapalo XXIV, un nome veramente assurdo che però faceva parte della gloriosa storia della famiglia, famosa per il suo coraggio in guerra e molto rispettata.

Il problema era che questo re aveva paura di tutto, tanto che era noto nel paese con il nome di re Tremarello.

Tremarello si spaventava per qualsiasi cosa: se vedeva un’ombra dietro una siepe gridava subito per lo spavento, se si avvicinava un temporale si nascondeva sotto il letto, se una porta sbatteva faceva un salto fino al soffitto … Al castello, tutti parlavano sottovoce, cani e gatti stavamo all’esterno, i suoi figli (ne aveva sette) e la gentilissima moglie, Angelica, non gridavano mai e camminavano in punta di piedi per non allarmarlo. Tutto questo faceva sì che a corte regnasse sempre un’atmosfera silenziosa e tranquillissima e, tutto sommato, piacevole, forse un p’ troppo monotona. Anche i ricevimenti e i balli si svolgevano senza scompiglio: a tavola era ammesso qualche tintinnio di piatti e bicchieri ma senza esagerazione e le musiche si basavano per lo più su soavi melodie di violini e arpe, tra conversazioni a voce moderata. Per il resto tutto scorreva liscio e re Tremarello era molto rispettato, apprezzato dai sudditi per la sua onestà e generosità e amatissimo dai suoi familiari.

Un brutto giorno però arrivò nel regno di Tremilandia (così si chiamava) la terribile notizia che un esercito di ferocissimi guerrieri aveva invaso la regione e si avvicinava alla conquista del castello. Re Tremarello, quando lo seppe, si nascose per tre giorni al buio in uno sgabuzzino.  Il quarto giorno ricomparve pallidissimo e tremante e ordinò alla moglie Angelica e al suo fido maggiordomo, Flautato, di riesumare dalla soffitta la gloriosa armatura dei suoi eroici e bellicosi antenati, di lucidarla e di riportarla (corazza e elmo compresi) gli antichi splendori. “Ma caro – sussurrò gentilmente Angelica – ora non si usano più le armature!”. “Maestà – obiettò timidamente Flautato-oggi ci sono modi diversi di fare la guerra!”.  Ma Tremarello fu inflessibile e fece capire che in quella battaglia avrebbe voluto dimostrare di essere un degno discendente della sua famiglia, e a modo suo. E così fu fatto. Non volle neanche saperne di un suo piccolo esercito di difensori pronto a scendere in battaglia: tra brividi di paura e un flebile tremolio della voce Tremarello dichiarò che sarebbe andato da solo. Fece chiudere ermeticamente portoni e finestre, trasmise ai sudditi nei dintorni l’ordine di nascondersi e accolse al castello quelli che non potevano trovare un altro rifugio.

Quando ai piedi della collina spuntarono i nemici, il re quasi svenne per la paura. Poi si fece forza e chiese a Flautato di mettergli l’armatura. Fu un’operazione difficilissima, sia perché Tremarello non smetteva di tremare sia perché la pesante e antica armatura d’acciaio doveva essere indossata in modo ermetico e chiudeva il re come in un bozzolo lucido e compatto. Aveva anche la faccia completamente infilata in una specie di cilindro chiuso fino agli occhi e a malapena riusciva a respirare.

Poi finalmente il re fu pronto: non poteva parlare e fece segno, dal suo guscio di ferro, di orientarlo verso il nemico. Poi si avviò, mentre dietro di lui tutti si disperavano guardando, dalle fessure delle finestre, quello che erano sicuri fosse una specie di ultimo sacrificio del povero Tremarello.

Il re scese in qualche modo la collina barcollando e si avvicinò al nemico. (A questo punto ci dovrebbe essere un rullio di tamburi ma non voglio esagerare).

I nemici videro venire verso di loro uno stranissimo uomo d’acciaio (forse un robot?) ma, soprattutto, sentirono un fortissimo diabolico e ritmico ticchettio provenire dall’interno del mostro di ferro: più si avvicinava con andatura lenta e traballante e più il ticchettio cresceva. “Una bomba! -cominciò a gridare qualcuno – il mostro sta per esplodere !.. Seguì un fuggi fuggi generale e i nemici, sicuri che quel volpone di re Tremarello avesse un’arma segreta, si precipitarono ad assalire qualcun altro, il più lontano possibile.

Dal castello tutti si precipitarono fuori e corsero ad estrarre dal suo bozzolo il povero Tremarello: i suoi denti per tutto i tempo, all’interno delì’ armatura, avevano battuto e rimbombato così forte  da sembrare il ticchettio di una bomba…

Il re aveva calcolato tutto? Aveva sfruttato il suo principale difetto per risultare vincente e mostrarsi degno dei suoi gloriosi antenati? La storia non lo dice ma racconta che Tremarello fu estratto dal bozzolo più morto che vivo e che continuò a battere i denti per molto tempo ma sempre col sorriso sulle labbra.

Un caro saluto e alla prossima da Vittoria!

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