Una storia, una curiosità, un avvenimento da ricordare
Almanaccando
Alle dieci e mezzo di sera del 22 aprile 1997 suona il cellulare di Luis Sepulveda, scrittore cileno. Lui è all’aeroporto di Monaco. Chi lo chiama è il Comandante Evaristo, che da 126 giorni sta con un gruppo di guerriglieri a Lima, in Perù, e occupa la residenza dell’ambasciatore giapponese. Il Comandante Evaristo è molto agitato: “”L’assalto all’ambasciata è cominciato. Ci uccideranno tutti, fratello. Moriamo per il Perù e per l’America Latina””. Finisce proprio così. Muoiono proprio tutti: i 14 guerriglieri, età media vent’anni, due ragazze ne hanno solo 16; due soldati e uno degli ostaggi per infarto. Quando comincia l’assalto i guerriglieri Tupac Amaru stanno giocando a calcio. Lo fanno tutti i giorni, una partitella. 14 ragazzini che giocano a pallone contro centinaia di militari, i servizi segreti peruviani, statunitensi e israeliani. La prima richiesta dei guerriglieri, siamo prima di Natale 1996, è di liberare 400 detenuti politici, nell’ultima si accontentano di 20. Durante l’occupazione non è stato commessa nessuna violenza contro gli ostaggi, anche se è legittimo pensare – dice Sepulveda – che la privazione della libertà sia già una sufficiente violenza. Ma nelle carceri peruviane succede molto di peggio. In tanti, nel mondo, per mesi sperano che le cose possano concludersi diversamente e decentemente. E invece finisce male.
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