Fragole a fine novembre
Un saluto e bentrovati a tutti gli ascoltatori!
Alla fine del 1655 la regina Cristina di Svezia scese in Italia diretta a Roma. Si era convertita al cattolicesimo e voleva ricevere la comunione dal papa Alessandro VII alla vigilia di Natale. Il 27 novembre fece tappa a Mantova e il duca Gonzaga, ben felice di ricevere un’ospite di tanto prestigio, la festeggiò con un grande banchetto allestito da Bartolomeo Stefani, una vera e propria star dei fornelli di quei tempi.
Di tale pranzo sappiamo tutto perché è lo stesso Stefani ad averci lasciato un dettagliato e orgoglioso resoconto del menù andato in tavola quel giorno. Una lista di pietanze lunga ben dieci pagine. Ce né una però, servita in apertura, che attira l’attenzione se la si pensa servita il 27 di novembre.
Si dette il via all’abbuffata con delle fragole fresche. Così il cuoco descrive il piatto: “Fragole lavate con vino bianco, servite con zucchero sopra, e nel circuito dell’ala del piatto conchiglie fatte di zucchero riempite delle stesse fragole, intramezzate con uccelletti fatti di pasta di marzapane che sembrano voler beccare queste fragole”.
Un piatto tutto sommato semplice, fragole lasciate un po’ a marinare nel vino bianco arricchite da piccole sculture in zucchero che tanto erano in voga nelle tavole barocche. La cucina del Seicento amava il dolce a tutto pasto e metteva zucchero dappertutto.
Ma ritorniamo ancora una volta alla data: fragole il 27 di novembre. Assolutamente fuori stagione. Iniziando così il pasto il cuoco voleva certo stupire e conquistare l’ospite d’eccezione. Molte succulenti ricette sarebbero seguite, con carni prelibate, tartufi, ostriche, granseole e tanto altro bendidio. Ma il successo del banchetto era in partenza assicurato.
Quanto alle fragole, non ci è dato sapere se lo Stefani abbia usato quelle coltivate o quelle selvatiche. A quell’epoca erano già cominciati gli esperimenti di incrocio tra le fragoline selvatiche e le nuove specie venute dall’ America, soprattutto ad opera dei giardinieri di Versailles. Da quegli incroci nacquero i cosiddetti “fragoloni” che mangiamo ancora oggi.
Nel Seicento, come anche nelle epoche precedenti, offrire cibi “fuori stagione” dava certamente lustro al padrone di casa, nonostante un proverbio cinquecentesco recitasse che “il frutto non è buon’ fuor di stagione”. Ma in un pranzo del genere se il frutto non è buono, che importa? Il Duca e la Regina non si sedevano a tavola solo per piacere. Il banchetto offerto dal Gonzaga serviva anzitutto a mostrare opulenza, ricchezza, potere, capacità di mettere insieme risorse e ingredienti non scontati. In un mondo in cui osservare la stagionalità dei prodotti era la prassi, non farlo era un segno di distinzione.
E’ forse proprio in questo antico desiderio di infrangere i ritmi stagionali, sentiti come una costrizione “contadina”, che si trova la radice di certi comportamenti attuali, non più elitari ma di massa. Oggi non vale più la ragione del prestigio, tutti possono permettersi di mangiar fragole a ridosso del Natale.
Del resto, come diceva lo stesso Stefani, sono sufficienti “ buoni destrieri e buona borsa” per trovare “tutte quelle cose che io propongo”. In altre parole, per trovare ingredienti freschi in ogni stagione, servono rapidi mezzi di trasporto e adeguata disponibilità di denaro. Buoni destrieri e buona borsa. Ovvero i TIR che riempiono i supermercati e le tredicesime, che fanno crollare le immagini di prestigio che da sempre hanno accompagnato i prodotti esotici. Oggi la distinzione si è spostata altrove ed è, paradossalmente, vicinissima a noi. Oggi ci si distingue facendo riaffiorare il territorio e le sue stagionalità. Che non prevedono fragole a fine novembre.
A risentirci la settimana prossima!
@Convivium_RB
Immagine: Hieronymus Bosch, “Il Giardino delle delizie” (particolare), 1480 ca.
Bibliografia: B. Stefani, “L’arte di ben cucinare”, 1662; M. Montanari, “Il pentolino magico”, 1995; M. Montanari, “Il riposo della polpetta e altre storie intorno al cibo”, 2009.