Cucina maccheronica
Un saluto e bentrovati a tutti gli ascoltatori!
L’origine del termine “maccheronico” si deve a un mantovano vissuto a cavallo tra il Quattro e il Cinquecento: Teofilo Folengo, noto anche col soprannome di Merlin Cocai. Figlio di un distinto notaio, venne avviato da piccolo alla vita conventuale, dandogli modo di studiare e approfondire i vari campi del sapere. Oltre che un fine intellettuale, bisogna considerarlo allo stesso tempo un grande maestro di cucina e il precursore di quella che oggi noi chiamiamo enogastronomia, battezzata da lui come “ars lecatoria”. Insomma un vero gourmand. Buongustaio in tutti i sensi, visto che gli piacevano molto anche le donne e che, per questo motivo, fu cacciato dall’ordine religioso per un certo periodo di tempo.
Ritorniamo però al maccheronico o, meglio, al latino maccheronico usato dal nostro gaudente fraticello Merlin Cocai per scrivere i suoi libri. Non si tratta di un latino grosso di un ignorante, bensì una voluta e lucida mescolanza di italiano e di dialetto col latino classico, ideata a puro fine burlesco e satirico da un raffinato umanista che ben conosceva la lingua degli antichi.
All’inizio del suo poema più noto, il “Baldus” (che ispirò in seguito Rabelais per il suo celebre “Gargantua e Pantagruel”), egli invoca le muse affinché vengano non tanto a ispirarlo quanto a imboccarlo di maccheroni. Queste muse, racconta scherzosamente lo scrittore, non abitano nell’Olimpo dei classici, ma nel paese di Cuccagna. Sul cucuzzolo di una montagna di questo luogo alcune muse grattugiano parmigiano senza sosta; con grande zelo altre si danno a impastare teneri gnocchi, che rotolano poi giù per i pendii di formaggio grattugiato e diventano grossi come botti. Altre tagliano la pasta, pappardelle e grasse lasagne. Altre ancora stanno attente che il bollore delle pentole non sia troppo vivace e rischi di far fuoriuscire il brodo.
Il poema maccheronico di Merlin Cocai è un piatto ghiotto e sostanzioso, ricco di una precisa dottrina nascosta tra le righe. Egli rappresenta la sua opera come i maccheroni passati al forno: all’occhio balza subito l’immagine della crosta del formaggio gratinato; chi però riesce ad andar oltre, sotto l’apparenza, troverà la vera sostanza e il suo ripieno. Questi sono i suoi versi:
La gran Maccheronea da me composta
è fatta appunto come i maccheroni,
che sopra di formaggio hanno la crosta
e dentro son fodrati de capponi,
perché tanta dottrina v’è nascosta
che non è da inghiottir in duo bocconi;
e sebben la coperta è saporita,
chi tocca il fondo se lecca le dita.
Tra le pagine del “Baldus” sono racchiuse venti ricette, da ritenersi tipiche della Mantova rinascimentale. Si nota tra esse la predominanza dei secondi, l’abbondante presenza di carni e di spezie e droghe. Si tratta di una cucina piuttosto elaborata, ricca di fritture e condimenti. Quella che vi voglio proporre prima di salutarvi è la “decimasesta”, una semplice idea per una salsa da usare in accompagnamento a carni bollite. Merlin Cocai non ci detta le quantità degli ingredienti, che dovrebbero essere dosati secondo l’estro e l’esperienza. Regolatevi quindi di conseguenza. Questa, in ogni caso, la ricetta: mescolate aneto fresco con mandole tritate finemente, zenzero grattuggiato e polvere di noce moscata; pestate per bene il tutto in un mortaio e aggiungete gradualmente zucchero e aceto fino a raggiungere la giusta consistenza.
Buon appetito e a risentirci la settimana prossima!
@Convivium_RB