The Italian Coca Cola
Un saluto e bentrovati a tutti gli ascoltatori!
Dopo tanto cibo, una puntata dedicata al vino, indiscusso protagonista della tavola che, nel corso dei tempi, è stato spesso raccontato o raffigurato come il nettare dell’oblio e del piacere.
Una leggenda sulla sua nascita racconta che, nel palazzo del mitico re persiano Jamshid, un recipiente che conteneva uva producesse un liquido che “bolliva”. L’uso di questo liquido, ritenuto velenoso, fu quindi proibito e il vaso sigillato. La preferita del re, fanciulla di rara bellezza ma in preda ad un grave stato di depressione, pensò di suicidarsi ingerendo quella sostanza velenosa. Il risultato, invece, fu opposto: la fanciulla guarì dalla depressione diventando anzi euforica tanto che il re dispose la somministrazione del succo ai soldati durante le battaglie.
Il vino, pertanto, fin dall’antichità è stato considerato portatore di allegria e coraggio, al punto che San Benedetto da Norcia nella sua “Regola”, stabilì la misura che i monaci non potevano superare, ovvero un quartino al giorno perché, come scrisse il Santo, “il vino fa traviare anche i saggi”.
Uno tra i più antichi vini che oggi consumiamo è il lambrusco, il quale deriva dalle viti endemiche della pianura padana. Pare infatti che anche l’origine del nome abbia a che fare con la vite selvatica.
Gli archeologi hanno trovato semi di vite silvestre durante gli scavi di siti lungo il corso del Po databili all’età del bronzo. Virgilio invece, nelle sue Bucoliche, ci parla di una vite “labrusca”, dandoci una testimonianza concreta e diretta dei luoghi in cui è vissuto. Un’ulteriore curiosità che lascia intendere una massiccia presenza di queste uve spontanee e del loro utilizzo, viene dal geografo greco Strabone, il quale parlando di queste zone osservò che esistevano botti di legno più grandi di case; descrizione forse esagerata ma sintomatica di una pratica enologica già molto evoluta.
Anche i romani bevevano l’antenato del lambrusco in versione frizzante. Lo producevano facendo riposare il mosto dolce in anfore sigillate e immerse in acqua gelata per fermare la fermentazione; quando volevano bere il “frizzantino”, esponevano le anfore al caldo, così che il mosto cominciasse a rifermentare e dopo qualche giorno bevevano vino spumeggiante.
Per quanto riguarda la sua coltivazione sul territorio così come la conosciamo oggi, possiamo con sorpresa osservare che combacia con la zona d’influenza politico amministrativa di Matilde di Canossa. Una simpatica storiella ci confermerebbe l’abbondante produzione di vino durante il periodo del suo dominio: nel 1084, nel corso di una battaglia che impegnava i soldati della Gran Contessa contro le milizie imperiali, essendosi questi recati presso l’abitato di Sorbara per “ricaricarsi” lo spirito e le forze con del vino locale, trovarono le truppe imperiali praticamente ubriache e così non ebbero alcuna difficoltà a sconfiggerle in battaglia.
Nei secoli seguenti non venne mai meno l’importanza e il prestigio della produzione di questo vino. Nel Quattrocento gli Estensi ne dimezzarono i dazi per incrementare la sua esportazione e il successo di questa operazione è confermato da alcuni documenti commerciali che ci raccontano addirittura di spedizioni in Francia.
Dalle odierne statistiche emerge che il lambrusco, oltre ad essere uno dei più venduti in Italia, è uno dei vini italiani più consumati all’estero. Un gran bel risultato per quello che Luciano Pavarotti, grande esperto di questo prodotto, definiva “uno spumante selvaggio e ineducato”.
A risentirci la settimana prossima!
@Convivium_RB