Disco della settimana scelto e commentato da Christian Vigelli, impiegato
Ascolta il Disco Base della settimana
1. DREAM THEATER "Learning To Live"
2. DREAM THEATER "Under A Glass Moon"
3. DREAM THEATER "Metropolis"
4. DREAM THEATER "Pull Me Under"
5. DREAM THEATER "Take The Time"
I Dream Theater sono uno dei gruppi più amati-odiati del mondo. C’è chi li ama a tal punto da considerare acriticamente tutti i loro album dei capolavori assoluti e c’è chi li odia a tal punto da non poterli sentire nominare. Sono comunque riusciti nell’impresa di rendere popolare un genere ostico come il prog metal. Il gruppo è composto da Charlie Dominici (canto), Kevin Moore (tastiere), John Petrucci (chitarre), Mike Portnoy (batteria) e John Myung (basso); tutti musicisti dotati di un tecnica notevolissima, ma questo forse a discapito della comunicabilità. Le critiche che vengono loro rivolte dai detrattori suonano spesso cosi: “troppa tecnica, poca anima”. E infatti non hanno tutti i torti. Nei loro momenti migliori i Dream Theater sono devastanti, però spesso indugiano in suite dalle durate francamente eccessive, tanto da risultare noiosi e persino irritanti.
“Images And Words” è il loro secondo album, uscito tre anni dopo il discreto “When Dream and Day Unite”, passato praticamente inosservato. Si tratta anche del debutto del cantante James LaBrie al posto di Dominici. E’ uno dei loro dischi più accessibili come durata (“solo” 57 min.), e sarà il loro primo successo, tanto che conquisterà il disco d’oro egli U.S.A. “Pull Me Under” è un brano semplice e lineare per i loro standard. Non mancano ovviamente gli assoli di tastiera e chitarra, ma tutto è notevolmente contenuto. E’ un pezzo magniloquente, ma è anche il peggiore, con i suoi otto minuti di durata (troppi).
“Another Day” è una ballad melodica di gran classe (ma anche un pò ruffiana), dominata dal canto di LaBrie e chiusa da un bel assolo di sax. I Dream Theater si concedono un momento di distensione, cercando di essere fruibili ad un pubblico più ampio. Ma è una breve parentesi; “Take The Time” è un brano multiforme e sfaccettato, il primo del disco che dimostra la capacità teniche del gruppo. La voce è potente al punto giusto, mentre gli strumenti sono ben amalgamati. Di pregevole fattura è l’assolo di tastiere nella parte centrale, poi ritorna il canto e poi tocca a Petrucci chiudere in bellezza con un assolo melodico. Stavolta gli otto minuti non sono di troppo. “Surrounded” è una canzone dai tratti malinconici: inizia con la voce dai toni soffusi, accompagnata dal pianoforte e dagli archi, poi entrano altri strumenti e il brano si velocizza, per poi tornare alle sonorità iniziali. Composizione non eccezionale, è la seconda trascurabile dell’album. Non si può trascurare invece “Metropolis – Part I “The Miracle and the Sleeper”, piccolo capolavoro di perizia strumentale. La voce tocca vette inaudite, per poi lasciare spazio ad una lunga parte strumentale al cardiopalma, dove i musicisti creano un travolgente muro di suono e trascinano l’ascoltatore nel loro vortice; si finisce con LaBrie a concedere l’ultimo acuto. Dopo questa tempesta sonora “Under A Glass Moon” può sembrare poca roba, invece si dimostra all’altezza della situazione: a dare spettacolo è Petrucci, che si esibisce in un assolo d’antologia.
“Wai For Sleep” è una splendida composizione, che si avvale di un bellissimo giro di piano e una melodia toccante. E’ la breve introduzione che ci porta al brano più esteso del disco: “Learning To Live”. Si tratta di una vera e propria suite, complessa e ambiziosa, che mescola jazz, parti acustiche e prog metal. Particolarmente emozionante la parte finale, con la ripresa del tema di “Wait For Sleep” e la chiusura in sfumando, che termina in bellezza il lavoro. Si tratta indubbiamente del loro album migliore; in seguito diverranno ridondanti e prolissi, pur componendo, saltuariamente, brani di ottima levatura (“A Change Of Seasons” su tutti).