Un turbante socio-politico per Francesco II
Pareri Rudi-mentali
Nel febbraio del 1492 Francesco II Gonzaga scrive al suo agente a Venezia affinché gli procuri un turbante come quelli che si usavano a quel tempo in Turchia. In questa lettera il marchese si raccomanda che sia veramente “alla turchesca”, che sia bello e che gli arrivi in breve tempo.
L’agente a Venezia non capisce immediatamente la richiesta del suo Signore: non ha mai sentito nominare la parola “turbante” e non trova nessuno a Venezia che sappia che cosa sia. Interpreta a suo modo la richiesta di Francesco e, col primo corriere che parte per Mantova, gli manda un “tulimano”, una sorta di camicione che i turchi portavano sotto le casacche, sperando di aver inteso correttamente.
Questo episodio, che ci è noto dalle lettere sopravvissute negli archivi, ci testimonia due elementi importanti: che il Gonzaga è interessato alla cultura ottomana e che il termine “turbante”, alla fine del Quattrocento, non è ancora di uso comune.
È noto che Francesco II aveva grandi interessi a tessere amicizia col sultano ottomano Bayezid II. Mantova forniva a Istanbul i suoi pregiati stalloni e, in cambio, riceveva armi e preziosi gioielli. In questo periodo i rapporti tra Mantova e la Sublime Porta sono regolari; le relazioni avvengono attraverso lettere e ambasciatori inviati dalle corti.
Nell’epoca in cui l’espansione dei turchi verso occidente intimoriva e metteva soggezione a molte potenze europee, Francesco Gonzaga ostentava il suo intrattenersi con loro e celebrava la cultura turchesca in vari modi, non solo nel vestire ma anche nella scelta di alcuni temi decorativi degli affreschi delle pareti dei suoi palazzi.
Avendo poi saputo che un fratellastro del sultano Bayezid II era ostaggio del Papa, manda a Roma il suo miglior pittore Andrea Mantegna, affinché lo incontri e possa fornirgli, insieme a un suo ritratto, una dettagliata descrizione sull’abbigliamento, gli usi, i comportamenti e il suo temperamento. Le cose più curiose che Mantegna osserva e riferisce sono due: si siede a terra con le gambe incrociate e porta sulla testa un’esagerazione di stoffa pregiata («Dà udientia a sedere, come stanno li sarti, cum gambis incrosatis; porta in capo trenta millia canne di tela lodesana [di Lodi]…»).
L’elemento che però più sorprende nella turcofilia del marchese Gonzaga è la scelta del grido di battaglia che impose alle sue truppe. Varie testimonianze di quel periodo ci raccontano che le schiere armate di Francesco II andavano incontro agli avversari urlando “Turco! Turco!”.
Un grido di battaglia singolare quello imposto da Francesco II ai suoi soldati che, oltre a proclamare l’alleanza tra Mantova e Istanbul e tributare una forma di lode all’amico sultano, voleva anche intimorire l’avversario ricordandogli che Mantova era alleata dei terribili turchi.
La fama di questo grido di battaglia dei mantovani si diffuse rapidamente e, quando nel 1509 i veneziani catturarono Francesco II, i soldati del Doge dopo aver esaltato il loro patrono San Marco non mancarono di sfottere il marchese, definendolo un sorcio traditore preso in trappola e, ovviamente, chiamandolo “Turco”. («Marco, Marco, vitoria, vitoria, apicha el traditor, sorze in cotego [trappola], Turco preso!», registrano i diarii di Marin Sanudo).
[rudy favaro]
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per Giampiero Bellingeri