Disco Base proposto e commentato da Alessandro Belisario, pensionato
Ascolta il Disco Base della settimana
1. STEPPENWOLF "The Pusher"
2. STEPPENWOLF "Born to be Wild"
3. JIMI HENDRIX "If 6 Was 9"
4. ELECTRIC PRUNES "Kyrie Eleison Mardi Gras"
5. ROGER McGUINN "Ballard of Easy Rider"
Un cult citato in altre pellicole, un film diventato la bandiera di una generazione e oggi definito da qualcuno addirittura datato e superato. Lo stesso Dennis Hopper, persona fortemente contraddittoria, trent’anni dopo in giacca e cravatta gira una pubblicità della Ford alla guida di una Mustang che sorpassa il povero Billy a cavallo del suo chopper…. In realtà è un film che al di là del fenomeno di costume è stato per niente analizzato in forma critica, in proiezione futura del suo messaggio e non di quello dell’epoca e così viene spesso e semplicisticamente identificato come il portabandiera dell’esperienza hyppie con tutti i suoi aspetti positivi e negativi: le droghe, l’amore per la libertà, il pressappochismo sciatto… niente di più grossolanamente sbagliato.
E’ un film costato nel 1969 appena 350 mila dollari e che invece ne incasserà 60 milioni dimostrando che la logica del low budget portata avanti da tempo con risultati stentati da Roger Corman è invece produttiva e darà la possibilità ai tanti talenti (Bogdanovich, Coppola, Scorsese, De Palma, Monte Hellmann) nati alla scuola del grande vecchio di fare cinema a Hollywood. La traduzione del titolo farebbe romanticamente pensare a dei cavalieri moderni liberi e selvaggi. In realtà Easy Rider è un’espressione gergale americana, è l’uomo che sta con la prostituta, non il pappone, ma quello che ci vive e ha così la scopata gratis. Chiaramente la puttana è l’America, quella che aveva illuso di essere una madre benevola con speranze di libertà per tutti i protagonisti della Summer of Love del ‘67 che invece aveva fatto una brutta fine ad Altamont, quando al concerto dei Rolling Stones, gli Hell’s Angels del servizio d’ordine ammazzarono un giovane di colore.
E così l’idea di Hopper (Billy “come” the Kid o Wild Bill Hickcock?) e Peter Fonda (Wyatt “come” Earp?) era di attraversare-penetrare questa America madre-puttana nel verso contrario a quello classico delle grandi carovane dell’epopea western. Stavolta si va da Los Angeles al grande delta del Mississipi a bordo di due motociclette e al suono della migliore musica dell’epoca che scandisce, come in una tragedia greca, l’odissea per ritrovare la perduta essenza spirituale nel mardi gras di New Orleans, che rappresenta appunto l’addio alla carne. Ed è il viaggio di due bikers che, a differenza di quelli che li avevano preceduti nei film del genere (“Il selvaggio” di Laszlo Benedek, “Motorpsycho” di Russ Meyer, “I selvaggi “di Corman) non sono dei violenti teppisti con l’elmo nazista al posto del casco, ma dei semplici emarginati che sperimenteranno sulla loro pelle quant’è puttana quell’America di cui sono figli (Come hai potuto farti odiare tanto…tienimi la mano mamma … non mi hai mai amato … fa che io ti ami …quanto ti odio …Io ti amavo …Io ti amavo …e tu sei così stupida mamma!).
La strada che poteva assumere il significato di una via d’uscita al conformismo e consumismo esasperato con i suoi falsi miti (“io non vorrei essere nessun altro” dice Wyatt seduto attorno al fuoco) ne è invece solo un’illusione, fa ormai parte di quella civiltà becera che ha ormai tentacolarmente inglobato ogni aspetto del paesaggio immortalato negli splendidi controluce della fotografia di Làszlo Kovàcs. Pertanto Billy e Wyatt sanno benissimo, anche dai tanti segnali e indizi disseminati lungo la strada (le condizioni dei poveri nel pur ricco sud, lo sfruttamento dei suoli nel delta del Mississipi, il razzismo degli albergatori che non danno loro alloggio e né da mangiare) che il loro è un conto alla rovescia verso l’annientamento.
La realtà è che non possono sopravvivere nemmeno on the road, ridotta oramai ad una estensione di un universo corrotto e la soluzione finale è la morte fisica ma anche simbolica: andare con la moto contro il pick up dei bifolchi che avevano appena ammazzato Billy. Ma alla fine a bruciare sulla strada resta solamente la moto di Wyatt/Captain America, il suo corpo è già altrove.
Il messaggio non è nè datato e nè superato, basta pensare ad una frase di George Hanson / Jack Nicholson: “è difficile essere veramente liberi quando vieni venduto e comprato al mercato”.
La colonna sonora è composta da canzoni rock del periodo fine anni sessanta, diventata un disco di grande successo che si tramanda tra le generazioni. Molti dei brani della colonna sonora sono stati raccolti nell’album dei Byrds Ballad of Easy Rider.
La canzone più famosa della soundtrack, Born to Be Wild (“Nato per essere selvaggio”), è una canzone rock scritta da Mars Bonfire e resa famosa dal gruppo americano Steppenwolf. Nella cultura popolare è spesso associata all’immagine dei biker, grazie anche all’accoppiata con il film stesso.
La colonna sonora originale è del 1969.