Disco Base scelto e commentato da Andrea Caprini, attore
Ascolta il Disco Base della settimana
1. NEIL YOUNG "Out On The Weekend"
2. NEIL YOUNG "Harvest"
3. NEIL YOUNG "Heart Of Gold"
4. NEIL YOUNG "Old Man"
5. NEIL YOUNG "Alabama"
Chi non ha mai visto questa bucolica copertina in un negozio di dischi? E chissà quanti ricordano “Harvest” solo come una copertina, quando invece entra di diritto nelle pietre miliari della musica… Nel 1972 Neil Young è ormai un cantautore amato e affermato nel panorama musicale mondiale. Ha già regalato la sua prima perla “heavy country” (“Everybody Knows This Is Nowhere”) con i Crazy Horse e un disco fondamentale per il country-rock come “After The Goldrush”. Inoltre, dal 1969 collabora con David Crosby, Graham Nash e Stephen Stills al progetto Crosby, Stills, Nash & Young, che già ha dato al rock capolavori come “Deja Vù” (1970) e “4 Way Street” (1971).
Con “Harvest” il canadese solitario raggiunge il suo massimo successo di vendite e, nonostante Jack Nietzsche si ostini a inserire le pesanti orchestrazioni che caratterizzarono i primi album di Young, il disco è una gemma. Nel 1972 (anno fertilissimo musicalmente parlando) le atmosfere bucoliche (“Harvest” vuol dire “raccolto”) e tipicamente “on the road”, la dolcezza delle ballate acustiche, l’energia dei due pezzi elettrici contribuirono a vincere la gara sull’hard rock e sul progressive. “Harvest” fu il disco più venduto del 1972, mettendo in riga lavori come “Thick As A Brick” dei Jethro Tull e “Machine Head” dei Deep Purple. Venne registrato a Nashville nel 1971, con gli Stray Gators (Ben Keith, Tim Drummond, Kenny Buttrey, Linda Ronstadt e James Taylor), ma uscì solo nel 1972 perché Young fu sottoposto nel frattempo a un intervento chirurgico alla schiena. Gli ingredienti per un album spiccatamente country-rock ci sono tutti…
Il raccolto si apre con una splendida ballata acustica, “Out On The Weekend”, che riprende il tema del “loner”, (“see the lonely boy out on the weekend”) il solitario, ovvero l’autore stesso, oltre la malinconia amorosa. La title track “Harvest” è il secondo pezzo, la cui linea non varia rispetto a “Out On The Weekend”: dolce ballata country con argomento amore bucolico.
Con “A Man Needs A Maid” il discorso si fa più autobiografico. Young canta la sua infatuazione per Carrie Snodgrass, l’attrice di “Diario di una casalinga inquieta” (da qui il titolo). Il romantico pensiero del cantautore e la sua inimitabile vocina mantengono a galla un pezzo fortemente appesantito dal superfluo apporto dell’orchestra. La paura di ascoltare timpani e violoncelli anche negli altri pezzi svanisce subito con la meravigliosa “Heart Of Gold”, in testa alle classifiche di mezzo mondo per tutto l’anno. Forse la più bella ballata dall’inizio della sua carriera, “Heart Of Gold” è una pietra preziosa della musica, il classico pezzo da ascoltare da soli o con una persona speciale, magari guardando fuori dal finestrino di un treno o guidando verso un tramonto estivo. La pedal steel di Ben Keith, l’armonica, la chitarra acustica, e la magica voce di Young si fondono in qualcosa di incredibilmente musicale e melodioso, una sensazione di pace interiore, qualcosa di profondamente catartico. E dopo questa valanga di emozioni, il classico momento scherzoso che ha caratterizzato anche “After The Goldrush”: “Are You Ready For The Country?”, un breve pezzo di chiusura di facciata A (si parla sempre in termini di 33 giri).
La facciata B si apre con un altro brano memorabile (la cosa fantastica di “Harvest” è che su dieci canzoni sette hanno fatto storia), “Old Man”, altra ballata acustica che coinvolge anche il banjo (strumento principe del country classico). Fino a “Old Man” abbiamo ascoltato testi molto easy, canzoni d’amore, solo leggermente introspettive. Ma ciò che ha contribuito a questo grande successo culturale e commerciale è stata anche la tematica “impegnata”, trattata dal canadese da sempre con grande umanità, evidenziandone i tratti della vita quotidiana. Young ce ne dà un assaggio con “There’s A World”, forse il pezzo meno riuscito dell’album – probabilmente a causa dei soliti arrangiamenti per orchestra di Jack Nietzsche. Il testo è di difficile interpretazione, ma sembra aprire uno spaccato più serio nel disco. Infatti il pezzo che segue è “Alabama”, inno antirazzista che va a fare coppia con “Southern Man” (da “After The Goldrush”) sul tema delle colpe dei sudisti in materia di schiavitù. Per il canadese l’Alabama si macchiò di crimini indelebili (“Alabama, you’ve got a weight on the shoulder that’s breaking your back, your cadillac has got a wheel in the ditch and a wheel on the track”). Il pezzo fu motivo di litigio con i Lynyrd Skynyrd, che successivamente difesero l’Alabama e i sudisti in “Sweet Home Alabama”.
La sfilata di storia della musica ancora non è finita, anche perché il pezzo seguente è la famosissima “The Needle And The Damage Done”. Al tema del razzismo, sempre caro a Young, segue quello della droga, ancora più importante per l’autore. L’umanità e la disperazione con cui egli parla all’amico chitarrista Danny Whitten (che poi morirà) è a dir poco commovente. “I sing the song beacause I love the man, I know that some of you don’t understand… A little part of it in everyone”, è proprio questo il dramma della canzone: l’amore per l’amico in quanto uomo e la comprensione per la terribile situazione. Il tutto interpretato dalla sua vocina straziante, con la sola chitarra acustica ad accompagnarlo.
Dopo la riflessione, la consueta cavalcata elettrica. Il pezzo che saluta il pubblico è la lunga, splendida “Words (Between The Lines Of Age)” con un bel cambio di tempo all’inizio e l’energia inimitabile che caratterizza ancora oggi l’anima rock del canadese, nonostante le “rughe del tempo”.